Information disorder, propaganda e diritto di critica

Una notizia falsa che viene rilanciata da chi le verifiche dovrebbe farle per lavoro ci pare un buon primo caso di discutere nel 2024

Ciao, benvenuti nel 2024!

Oggi non parleremo di una specifica notizia, ma vorrei dedicare questo primo articolo del 2024 al problema dell’Information disorder. Proprio in chiusura del 2023, una testata giornalistica ha pubblicato un articolo senza vere fonti, prontamente condiviso da altri giornalisti, a quanto pare molti di loro convinti della sua veridicità solo sulla base della reputazione del primo che lo ha diffuso in italiano.

Un chiaro esempio di information disorder, di come si diffonde e del perché è un problema grave e di non facile risoluzione, ideale da discutere come primo “caso” dell’anno.

Ma partiamo dall’inizio

Il 29 dicembre sono stato taggato su Twitter in un post che riportava la notizia di una presunta villa di lusso in Egitto, legata alla famiglia di Zelensky, e l’assassinio di un giornalista egiziano che avrebbe indagato sull’argomento. L’articolo del Manifesto, firmato da Fabrizio Vielmini, suggeriva connessioni con i servizi segreti ucraini, ma senza fornire prove solide o fonti verificabili.

L’articolo de Il manifesto titola:

Omicidio di un giornalista egiziano: il fratello accusa Kiev

Sottotitolo:

EGITTO/UCRAINA. Mohammed Al-Alawi aveva rivelato l’acquisto di una villa di lusso a nome della suocera di Zelensky

Da lettori assidui di BUTAC, già conoscete i campanelli d’allarme che dovrebbero suonare in casi come questi. Abbiamo già trattato mesi fa la notizia della villa egiziana, dimostrando come fosse un falso diffuso per interessi poco chiari. Nonostante ciò, il Manifesto ha riportato la storia, dando per scontata la sua veridicità senza le dovute verifiche. L’articolo del Manifesto non riporta fonti, ma è scritto come se ce ne fossero e fossero state verificate:

Assassinato il giornalista egiziano Mohammed Al-Alawi, autore di un’inchiesta su proprietà di lusso sulla costa del mar Rosso, facenti capo alla famiglia del presidente ucraino Volodymyr Zelensky. La polizia egiziana, che non si è ancora espressa sui moventi dell’omicidio, ha reso noto che il corpo di Al-Alawi, ritrovato in una via periferica della città turistica di Hurghada, presenta numerose abrasioni, fratture e che la morte è stata causata da un grave trauma cranico.

GIOVANE desideroso di affermarsi nella professione, lo scorso agosto, Al-Alawi aveva reso pubblici documenti che provavano l’acquisto a nome della suocera di Zelensky, Olga Kijashko, di una lussuosa villa nella località privata di El Gouna, anche conosciuta come “la Venezia egiziana”. Si tratta di un immobile di 300 mq, con vista mare, del valore di 4,8 milioni di dollari e la cui data di acquisto è il 16 maggio 2023, coincidente con l’inizio della controffensiva ucraina.

E conclude:

Nel caso la pista ucraina venisse confermata, resta da vedere quale sarà la reazione del governo egiziano. Il Cairo ha cercato di mantenere una posizione neutrale nel conflitto russo-ucraino ma proseguire su tale linea è divenuto difficile di fronte al sostegno attivo di Zelensky ai bombardamenti della Striscia di Gaza. Potenzialmente, l’episodio potrebbe contribuire a rafforzare ulteriormente il fronte dei paesi del Sud del mondo e ad aumentare il boicottaggio dell’Ucraina di Zelensky.

Questo episodio evidenzia il problema principale: la diffusione di notizie non verificate che, pubblicate da fonti nazionali, raggiungono un ampio pubblico e diventano difficili da smentire. Anche giornalisti professionisti talvolta si affidano a priori alla credibilità delle testate senza ulteriori indagini.

Il problema secondario è che una notizia falsa che viene pubblicata su un quotidiano nazionale ha una diffusione tale per cui diventa praticamente impossibile smentirla come si dovrebbe. Anche perché, oltre ai normali lettori del quotidiano in questione, ci sono una serie di giornalisti che si fidano a priori e condividono sui loro profili social senza alcun filtro.

Giornalisti che danno per scontato che qualcun altro abbia fatto delle verifiche.

Verifiche che, dall’inizio alla fine, nessuno ha fatto.

Il diritto di critica

Ma c’è di più: quando critica e fact-checking fanno il loro dovere, emerge un’altra problematica. In risposta alle denunce di imprecisione e falsità, alcuni giornalisti e testate reagiscono non con la correzione o il dialogo, ma con la minaccia di azioni legali.

Scriveva una lettrice:

Lei rilancia narrazioni infondate. Fatto. Ed è grave se a farlo è un giornalista. Però va bene, i giornali in Italia non li compra più nessuno, così gli si dà il colpo di grazia, se va bene agli addetti ai lavori chi siamo noi lettori per metterci di traverso.

A cui il giornalista ha risposto così:

Facciamo una cosa visto che lei fa accuse gravi, le chiedo: è pronta ad avanzarle in tribunale e/o presso il consiglio disciplinare dell’Odg Lazio? Se sì, aspetto sue notizie. Altrimenti sono solo chiacchiere e tentativi vergognosi di screditare un giornalista. Resto in attesa.

In particolare, il diritto di critica è sancito dall’articolo 21 della nostra Costituzione, e si manifesta nell’interpretazione e nella valutazione dei fatti di pubblico interesse.

Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

Spiega Altalex:

In particolare il diritto di critica, non si manifesta solamente nella semplice esposizione dell’opinione del soggetto su determinate circostanze, ma si caratterizza per essere una interpretazione di fatti considerati di pubblico interesse, avendo di mira non l’informare, bensì l’interpretare l’informazione e, partendo dal fatto storico, il fornire giudizi e valutazioni di carattere personale.

Minacciare di denuncia chi ha esercitato questo diritto è grave e dimostra scarsissima apertura alle critiche, un atteggiamento che sfortunatamente vediamo molto diffuso nel panorama informativo italiano. Questo atteggiamento è non solo contrario allo spirito di trasparenza e responsabilità che dovrebbe caratterizzare il giornalismo, ma è anche un tentativo di intimidazione nei confronti di chi esercita il proprio diritto di critica. Noi di BUTAC crediamo fermamente che la risposta alle critiche debbano essere la trasparenza e il miglioramento, non l’intimidazione. Continueremo il nostro lavoro di fact-checking e di promozione di un’informazione corretta e responsabile, e incoraggiamo tutti a non lasciarsi scoraggiare dalle minacce, ma a continuare a chiedere conto delle informazioni che riceviamo.

L’information disorder

Il disturbo dell’informazione è anche questo: un sistema ormai rodato a sufficienza attraverso il quale, grazie alla pigrizia e sicumera di alcune redazioni, si diffondono informazioni non verificate. Informazioni che raggiungono un pubblico che non ha (o non sa usare) gli strumenti per verificare a sua volta, un pubblico che condividerà sulla base del proprio bias. Un pubblico che contribuirà a diffondere l’informazione non verificata, che così diventerà nella testa dei lettori fatto conclamato, proprio ciò che si intende quando si parla di post-verità. L’abbiamo visto fare da tanti in questi anni, quindi non siamo sorpresi. Ma un conto è il pubblico generalista, quello che appunto non ha, o non sa usare, gli strumenti per la verifica, un conto sono i giornalisti che queste cose dovrebbero saperle bene.

E invece proprio quei giornalisti, quando gli si spiega che la notizia non presenta fonti valide, rispondono con questi toni:

I colleghi del @ilmanifesto avranno fatto le loro verifiche – immagino – anche perché il loro articolo è di oggi non antecedente a quello che segnala lei. Comunque nell’articolo il giornalista egiziano viene definito non come reporter famoso

O ancora:

Questo social è basato per lo più sulla condividi one di notizie, in questo caso da una fonte certificata. Rivolga all’autore/testata le sue critiche. Concentrandosi su di me con toni da giustiziere della verità alimenta l’ondata di insulti rivoltimi come se il pezzo l’avessi scritto io, che sono solo lettore del Manifesto. Caccia all’uomo o contributo alla verità? Anche testate giornalistiche possono sbagliare, comunque i lettori di questo mio tweet sin da subito nei commenti hanno avuto accesso al suo debunkingz
Saluti

E quando gli si fa notare che non è “solo lettore del Manifesto” ma anche giornalista del servizio pubblico, e che quindi tramite il proprio account dovrebbe cercare di diffondere il più possibile informazioni verificate:

La verifica è in capo alla testata giornalistica che pubblica esattamente come la rettifica. Secondo lei quando si condividono pezzo del NYT che parlano di fonti anonime della WH si va alla Casa Bianca a verificare prima di condividere? Non faccia giochetti da sbirro della verità.

Io ho provato a spiegare che un conto è chi, fin da subito, spiega di avere una fonte anonima, e usa termini come “allegedly, supposedly” e così via, a specificare che non avendo fonti verificabili stanno riportando qualcosa di non confermato. Ma è stato assolutamente inutile. Anzi, nel frattempo altri giornalisti stavano condividendo quanto raccontato dal Manifesto, sempre senza alcuno spirito critico.

Il Manifesto ha poi rimosso il suo articolo, sostituendolo con la seguente dicitura:

*Questo articolo in cui si raccontava, se pure in forma dubitativa, dell’omicidio di un giornalista egiziano era basato su informazioni false. Il ministero dell’Interno del Cairo ha affermato che la villa al centro della storia è di proprietà egiziana e non della famiglia Zelensky e che alle autorità non risulta la morte di un giornalista.

Come possiamo contrastare questo fenomeno?

La soluzione non sta ovviamente nella censura, ma nell’educare e incentivare un approccio critico verso le notizie. È essenziale che i giornalisti e le testate si impegnino a verificare le fonti e a fornire ai lettori tutte le informazioni necessarie per comprendere l’origine e la credibilità delle notizie.

Andrebbero stilate linee guida chiare per il giornalismo: riportare sempre le fonti delle notizie, favorire la trasparenza e incentivare il fact-checking. Nelle scuole di giornalismo, queste pratiche dovrebbero essere insegnate e sottolineate costantemente.

La storia che abbiamo discusso oggi ci serva da monito. Il diritto di critica è sancito dalla nostra Costituzione e deve essere protetto. Rispondere alle critiche con minacce legali dimostra non solo una chiusura al dialogo ma anche una vulnerabilità della stessa professione giornalistica, che dovrebbe invece essere baluardo di verità e trasparenza.

Noi di BUTAC continueremo il nostro lavoro di fact-checking e di promozione di un’informazione corretta e responsabile, come facciamo da dieci anni. Invitiamo tutti i lettori a partecipare attivamente in questo sforzo, esercitando un approccio critico e informato. Solo così possiamo sperare di contrastare efficacemente l’information disorder e promuovere una società più informata e consapevole.

Buon anno nuovo e buona lettura critica a tutti!

maicolengel at butac punto it

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