Perché evitare confronti con i teorici del complotto?

Cosa succede quando un fact-checker e un teorico del complotto si confrontano in diretta di fronte a un pubblico?

Un post dell’amico e collega fact checker Juanne Pili ha aperto un dibattito su un tema che ci sta molto a cuore, così tanto che ho ritenuto interessante riportare le mie considerazioni nell’editoriale che state per leggere.

Ma prima trovo sensato riassumervi quanto detto da Juanne che potete leggere nella sua interezza qui.

Con rispetto e stima verso i colleghi… a me vedere un divulgatore o un fact-checker “confrontarsi” con un complottista in un podcast fa piangere il cuore. […] Non solo perché accetti di giocare a poker coi bari […] ma anche perché contribuisci a far passare l’idea postmoderna, che la verità sarebbe sempre qualcosa di socialmente costruito.
[…] Il fact-checking non è una clava con cui percuotere i fuffari. Si tratta innanzitutto di uno strumento per le redazioni… e un servizio ai lettori interessati a un’informazione sottoposta a verifica.

Non è importante a cosa facesse riferimento, non è importante di chi stesse parlando, quello che importa è il messaggio centrale: un dibattito tra un divulgatore o un fact checker e un complottista non andrebbe fatto.

La legittimazione di posizioni inaccettabili

Quando si accetta di partecipare a un confronto di questo genere si accetta anche, implicitamente, che le due posizioni opposte si trovino sullo stesso piano. Ma la verità non è un’opinione, e non si stabilisce a colpi di like, anche se al complottista che decide quale gregge seguire in base ai numeri che raggiunge sui social farebbe immenso piacere. Rispondere alle fantasie del teorico del complotto di turno in un confronto pubblico significa trasformare i fatti in una delle possibili opinioni presenti nel confronto. Quindi si sta automaticamente legittimando quello che il complottista ha da dire, portando magari il pubblico a pensare che la ragione stia nel mezzo, o un po’ a testa, e questo è profondamente sbagliato.

Sarebbe il trionfo del false balance*.

Il fact-checking non è spettacolo

Quelli come noi, che hanno cominciato a fare verifica dei fatti per passione, non sono qui per fare spettacolo o per vincere un dibattito. Noi forniamo strumenti, non show. Strumenti che devono servire per riflettere a chi legge i nostri articoli, guarda i nostri video, ascolta i nostri podcast. Lasciamo lo spettacolo a chi ha scelto un’altra professione. Non siamo tuttologi, non abbiamo la scienza infusa, ogni nostro articolo, ogni nostra chiacchierata online ha alle spalle ricerche, traduzioni, analisi che in un dibattito uno contro l’altro si perderebbero e basta. Perché il complottista basa la sua verità su narrazioni che sono sempre modellabili a proprio piacimento, mentre chi parla di fatti deve basarsi su fonti specifiche, fonti che di volta in volta vanno cercate, analizzate, riportate. Tutte cose che non si possono mettere in pratica in un format che prevede il botta e risposta.

Il fact checker ha un vincolo: l’aderenza ai fatti, la verità. Il complottista no. Un dibattito non sarebbe un incontro sullo stesso piano: da un lato avremmo il baro con le carte truccate, dall’altro il pollo che si è seduto al tavolo per farsi spennare.

Lascio a voi intuire chi rappresenta chi.

Una questione di metodo

Purtroppo quando cerchiamo di spiegare il nostro punto di vista spesso veniamo criticati con accuse varie: quelli che ci accusano di elitarismo, chi sostiene che abbiamo paura del confronto, chi ci accusa di “burionismo”.

Ma la risposta a tutti è sempre la stessa, si tratta di una questione di metodo. Per capirci meglio, come dicevamo sopra, noi non siamo tuttologi che credono di saperne più degli altri, noi facciamo appunto fact checking, ovvero ogni volta che scriviamo un articolo andiamo a verificare le fonti, una alla volta. Ci costa tempo e impegno, non siamo esperti di tutte le materie che trattiamo, non siamo Roberto Burioni che parla di vaccini, ma blogger che si occupano di mille diverse materie (ogni volta per noi è una scoperta, ed è anche per questo che lo facciamo). Un dibattito con dei teorici del complotto potrebbe essere portato avanti solo se per ogni nostra risposta alle loro affermazioni ci venisse lasciato il tempo di andare a verificare le fonti. Non sarebbe uno show interessante, sarebbe lento e noioso, come lento e noioso è il processo che serve a un fact checker per andare a verificare i fatti. Il complottista, invece, solitamente si presenta al confronto forte dei suoi dati, spesso sbagliati o addirittura inventati, e quando viene colto in fallo non ha problema alcuno a spostare l’attenzione su altre nozioni tra le migliaia che ha assorbito online, poco conta se siano imprecise, inesatte se non fabbricate. BUTAC, per questi motivi, con l’eccezione di due errori in buonafede, da oltre undici anni ha scelto di non prestare la sua voce a format che giocano col fuoco della disinformazione.

L’orologio rotto

Tra chi diffonde disinformazione può succedere di incontrare anche chi a volte dice cose con cui potremmo concordare, specie tra i giornalisti che sulla disinformazione hanno fondato carriere. D’altronde sono appunto giornalisti, può essere che a volte dicano anche cose corrette. Anche un orologio rotto (per noi anziani abituati alle lancette) dice l’ora giusta due volte al giorno, ma non per questo lo portiamo al polso o facciamo affidamento su quei due casi in cui segna l’ora esatta. Non avrebbe senso. Lo stesso discorso vale per chi sceglie di andare ospite di trasmissioni o podcast che nel 90% dei casi fanno leva sulla disinformazione, ma hanno magari una singola rubrica che invece pare contrastarla. Rendersi protagonisti di questi siparietti razionali immersi in contenuti assolutamente irrazionali non fa altro che dare legittimità a tutta la trasmissione.

Perché l’unico risultato sarebbe quello di regalare autorevolezza al complottista stesso, legittimandolo. Inoltre, rispondere alle fantasie di un complottista rischia di trasformare i fatti in mere opinioni, che hanno lo stesso identico valore delle fantasie di cui sopra.

Il caso di questa settimana

Noi proprio questa settimana saremmo stati invitati a un podcast: l’invito che abbiamo ricevuto era molto allettante, si tratta di un podcast dove sono già andati a parlare tanti noti divulgatori, alcuni anche buoni amici di BUTAC. La puntata ci è stata presentata prima come dedicata ai complotti sull’allunaggio e successivamente agli UFO, proponendoci un confronto tra noi e un esperto della materia. Nell’invitarci hanno fatto leva sul fatto che sono il terzo podcast più ascoltato in Italia, che ci avrebbe portato grandissima visibilità – tutte cose che fanno gola a tanti, ma non a noi. Abbiamo declinato l’invito con questo messaggio:

…un confronto tra chi verifica i fatti e chi propone teorie non supportate da alcuna evidenza — tipo chi crede negli UFO, tanto per fare un esempio — secondo noi non ha senso.

Non perché l’argomento UFO non sia affascinante (anzi!), ma perché il confronto crea un falso equilibrio tra due posizioni che non stanno sullo stesso piano. Da una parte ci sono i dati, le fonti, le verifiche. Dall’altra opinioni o congetture personali. E presentarle come equivalenti può confondere chi ascolta: sembra che siano due “verità” con lo stesso valore. Ma non lo sono.

Questo fenomeno ha anche un nome, “false balance”, ed è ben documentato. È una dinamica che finisce sempre per avvantaggiare chi porta tesi infondate, non chi lavora sui fatti.

Spero capirai la nostra posizione: non è snobismo, è coerenza con quello che facciamo ogni giorno.

Ci hanno chiamato, evidentemente non capendo il concetto visto che rilanciavano: invece che di UFO ci invitavano a un’altra puntata in cui ci saremmo dovuti confrontare sulla guerra in Ucraina, con un politico filo-putiniano. Abbiamo ovviamente detto no anche a questo invito, ma ci rimane il dubbio: cosa del nostro messaggio sul false balance non era chiaro?

Concludendo

A nostro avviso, in un’epoca in cui la verità viene costantemente messa in discussione, andrebbero rifiutati sistematicamente gli inviti dove ci si deve scontrare con complottisti o sostenitori di teorie bislacche.

Il fact-checking e la divulgazione non sono clave da usare contro chi non la pensa come noi, sono strumenti che devono aiutarci a ragionare. Chi diffonde teorie non supportate da evidenze, anche se ogni tanto ne dice una giusta, non va trattato come interlocutore con cui discutere. Sì ai format che possono essere formativi, che insegnino a ragionare e a riconoscere le fonti, no ai dibattiti alla pari con chi le fonti le manipola a proprio uso e consumo.


*FALSE BALANCE – Il false balance, che tradotto significa “falso equilibrio”, a volte chiamato anche “falsa equivalenza”, è in questo contesto una fallacia giornalistica. Si verifica quando un contenuto suggerisce che due parti in una controversia abbiano argomenti ugualmente validi, quando in realtà le evidenze pendono ampiamente a favore di una delle due parti.


maicolengel at butac punto it (ispirato da Juanne Pili, al quale ci siamo ispirati anche per la fusione tra gattini e fact checker dell’immagine di testa, realizzata dall’AI)

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