La lezione della peste di Ginevra
Un'indagine storica con l'aiuto dell'amica Sofia Lincos
Sul blog di Nicola Porro in data 9 dicembre 2021 è stato pubblicato un testo con questo titolo e introduzione:
L’inquietante lezione della peste di Ginevra
Pubblichiamo questa cronaca della peste di Ginevra del 1530 su segnalazione di Mauro della Porta Raffo.
Il link che dovrebbe servire come fonte riporta a una pagina che dà come riferimenti letterari le Cronache di Ginevra di François Bonivard, a fine testo ci viene detto che quanto riportato sarebbe il testo che appare nelle Cronache alle pagine 395-402.
Il testo che viene fatto circolare comincia così:
Quando la peste bubbonica colpì Ginevra nel 1530, tutto era già pronto. Fu persino aperto un intero ospedale per gli appestati. Con medici, paramedici e infermieri. I commercianti contribuivano, il magistrato dava sovvenzioni ogni mese. I pazienti davano sempre soldi, e se uno di loro moriva da solo, tutti i beni andavano all’ospedale.
Io ho cercato nelle pagine segnalate ma un incipit in francese uguale a quello qui sopra non l’ho trovato, per cui ho chiesto aiuto a un’amica abituata a questo genere di ricerche bibliografiche, Sofia Lincos, che ha passato parte della sua domenica a studiare e verificare.
Sofia ha tradotto la cronaca di Bonivard sulla peste a Ginevra e l’ha commentata con me con queste parole:
La citazione non è letterale, però comunque la storia c’è, è solo stata un po’ “attualizzata” tralasciando qualche particolare (tipo, il fatto che il tizio abbia confessato sotto tortura) e aggiungendo qualche dettaglio ad esempio la storia che facevano morire la gente negli ospedali per aumentare le statistiche… che genere di statistiche potevano mai fare all’epoca? Comunque la storia è una specie di riassunto della vicenda riveduto e corretto. La mia teoria è che qualcuno gliel’abbia segnalato facendo già il riassunto, e che la cosa sia stata presa per citazione letterale (non lo è).
Mi sono letto la traduzione fatta da Sofia – che vi metto a fine articolo – per confrontarla col testo apparso sul blog di Porro e posso confermare che si tratta di un sunto riveduto e attualizzato, con aggiunte e omissioni, piccole cose, ma il concetto è che quella riportata da Porro non è la traduzione letterale di quanto lui linka e cita. Ma qualcosa che ha altra fonte e che è stato scritto con toni utili a renderlo più sensazionalistico, e adatto al paragone con l’attualità, di quanto fosse in origine. Quindi stiamo parlando di modifiche fatte apposta, oserei dire in malafede, a un testo esistente.
Ma non è stato il blog di Porro a fare queste modifiche, loro si sono limitati a copiare e incollare quanto gli veniva segnalato appunto da Mauro della Porta Raffo. E nemmeno lui è l’autore del testo modificato, perché un mese prima lo stesso testo appariva sul blog di Pietro Mozzi, il dottore delle diete del gruppo sanguigno. Anche Mozzi condivideva lo stesso identico testo, modificato e attualizzato rispetto al racconto di Bonivard.
Chi l’ha segnalata al dottore? Chi ha fatto quelle modifiche al testo sulla peste del 1530? Il problema è che si trova questa roba in francese esattamente come in italiano, a partire dalla fine del 2021. Prima è come se non esistesse. Ad esempio questo post del 14 dicembre, da parte di un utente che riporta nella sua immagine profilo un bel Non au pass sanitaire, Liberté d’opinion:
Ma non esiste solo questa versione, basta cercare un po’ di più per trovarne altre, ora rimosse, come questi post su LinkedIn che usano parole lievemente diverse ma sono versioni sempre della stessa storiella:
Lo stesso testo lo troviamo qui sempre su LinkedIn, con parole ancora lievemente diverse, ma siamo sempre tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022:
Cercando in rete si trovano altri post su Facebook e su altri social con questo testo, tutti apparsi dopo novembre 2021, tutti mettendo in evidenza un contenuto che non è esattamente la traduzione del brano di Bonivard.
Tutto questo per dire che è evidente quanto sia facile diffondere cose che non sono esattamente ciò che sembrano, grazie a soggetti che non verificano mai nulla, ricevono e pubblicano senza alcun approfondimento. Oltretutto, anche se è vero che nel testo di Bonivard si parla di un caso di malsanità per fini economici, di untori della peste si è parlato fin da quell’epoca, ma gli storici che hanno studiato i processi e ne hanno riportato le cronache hanno ritenuto che nella maggior parte dei casi si trattasse di quella che oggi verrebbe definita disinformazione complottista.
Esiste – e l’ho potuto sfogliare grazie sempre all’aiuto di Sofia – un bel testo, firmato da un accademico britannico, William G. Naphy, e pubblicato giusto l’anno scorso, che s’intitola Plague, poisons and potions. In quel testo è presente un’analisi del processo agli untori di Ginevra, un’analisi che probabilmente andrebbe letta nella sua interezza per capire la complessità del periodo storico e dei fatti narrati nelle varie cronache d’epoca.
Noi su BUTAC volevamo limitarci a esporre come il testo ripreso da tantissimi non fosse esattamente quello che viene sostenuto nelle fonti, e come sia evidente una qualche forma di regia nel far circolare materiale di questo genere in giro per la rete.
Da qui in poi trovate la traduzione fatta da Sofia Lincos che se volete potrete confrontare col testo pubblicato sul blog di Porro:
[Nella prima parte del capitolo parla dell’elezione dei Membri del Consiglio per il 1530, che non ci interessano. Qui c’è la traduzione delle pagine 395-402].
https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k6539311v/f399.item
Quell’anno anche la peste regnò a Ginevra, & non soffrirono [solo] di ciò che Dio inviò agli uomini per punire i loro peccati, ma la malizia umana, non contenta del dolore che Dio aveva dato alla sua gente, lo volle aiutare, e questo mi sembra degno di memoria e cosa da riportare qui di seguito.Si deve sapere che a Ginevra c’era e c’è ancora un ospedale pestilenziale per internare gli infetti in tempo di peste, & c’era di norma un [medico] ospedaliero che era chirurgo per pensare ai malati, un sacerdote per consolarli & confessarli, con altri servitori a loro sottoposti, ed erano tutti ben pagati per via del pericolo a cui erano esposti, & anche le donne che ciascun individuo [malato, NdT] sceglieva tanto perché provvedesse a lui, quanto per pulire le case infette. Le quali donne chiamiamo curatrici, perché davvero operavano con cura, ma non per la cura che avevano del loro padrone, poiché esse avevano buona paga & defraudavano comunque quegli uomini valenti: e anche l’ospedaliere e il sacerdote avevano la loro parte nel bottino.
Accadde che per grazia di Dio la peste cominciò a poco a poco ad affievolirsi: cosa di cui i miei galantuomini non furono molto felici, perché le persone che fanno i loro profitti dal male, non sopportano mai molto volentieri il bene, & vorrebbero sempre volentieri mantenere il male. Sopra a tutti loro si dà il caso che ci fosse a Ginevra un cittadino di buona famiglia, ma dedito a tutti gli inganni, che ne aveva fatto una professione & non prendeva che a lode il nome di malvagio, perché reputava bella la sua malvagità, e ciononostante non aveva ancora commesso delitti condannabili fino alle pene corporali. Costui si chiamava Michel Caddo. Egli spendeva tanto con le sue raffinatezze, che finì in povertà, tanto che non sapeva di che vivere, & non aveva parenti né amici che fossero così fieri di lui da ospitarlo nella loro casa, per il che egli dovette giocare il migliore dei suoi trucchi. Per poter essere nutrito e poter pensare, simulò di avere la peste. Subito venne mandato all’ospedale & comandò che fosse ben trattato, cosa che fu & [laggiù, NdT] prese piuttosto il vino che lo giulebbe o lo sciroppo. Stando là, capì bene che quella festa non poteva durare che quaranta giorni, poiché dopo di questi gli avrebbero dato congedo: per tal ragione si adoperò per prolungarla. Si mise d’accordo con l’ospedaliere (che era di Fouffigny, ma che era cresciuto in Germania e si chiamava M. Iehan Placet) di mantenere questa peste, in modo che si sbarazzasse degli altri, e mantenesse loro.
Innanzi tutto decisero che tutti quelli che venivano condotti all’ospedale, al posto di guarire, se non morivano per conto loro, sarebbero stati fatti morire di veleno o di altro. Poi, dopo che fossero morti, prendevano la peste o i carbonchi che avevano sui loro corpi, li polverizzavano, li mischiavano con delle altre sostanze: del ché fecero bere ai colpiti da peste, simulando che questa fosse una bevanda per la loro guarigione. E non contenti di ciò, dopo che Michiel Caddo ebbe terminato il suo tempo in ospedale, spolverarono dei bei fazzoletti ben realizzati, delle belle giarrettiere & simili con questo veleno, poi Michiel Caddo andò per la città di notte, lasciandolo cadere per strada qui & là, principalmente davanti alle case dove c’era da mordere per lui & per i curati & curatrici: & non contento di ciò, ne spalmò le maniglie delle porte. Il mattino, il valletto o la cameriera nell’uscire di casa trovavano i bei fazzoletti, le belle giarrettiere & simili: credendo di aver guadagnato un buon bottino, li raccoglievano, & poi prima di andare a dormire impugnavano le maniglie per chiudere la porta di casa o del negozio, & seguivano il padrone o la padrona, o i figli dell’abitazione, & trac, erano presi. E ne avevano convenienza Caddo, l’ospedaliere, il sacerdote & tutti quegli altri che avevano agganciato alla loro cordata, & anche alcuni curatori & anche curatrici, perché si avesse bisogno del loro mestiere.
Tutto questo rimase nascosto per un po’, ma al Diavolo non importa molto di aiutare a nascondere i peccati dei suoi sottoposti, quanto di farglieli commettere. Quanto Caddo aveva bisogno di far di notte, non si trattenne dal farlo di giorno, e un giorno di Quaresima dell’anno seguente, lasciò cadere un sacchetto di questa unzione in mezzo alla Rue de Couflance, pensando che nessuno se ne accorgesse.
Ma c’era qualcuno che lo vide e sul momento non si credette che fosse cosa così malvagia, o [si pensò] che fosse uno scherzo, che fosse qualche polvere di aloe o altra cosa per truffare la gente, com’era suo costume, & si disse: “Questo delinquente di Michiel Caddo ha lasciato cadere qui [questo] e non si sa perché, per ingannare la gente”, & lo voleva levare [il sacchetto, NdT]. Ma c’era uno più saggio che disse: “No, non è opportuno di questi tempi correre a maneggiare qualsiasi cosa trovata; levalo con qualche cosa senza toccarlo e vediamo cos’è”. Presero dei pezzi di legno con i quali lo dispiegarono, e immediatamente ne uscì la più gran puzza del mondo. Ognuno si meravigliava & vedeva che non cessava, finché una povera donna, che da poco era uscita dall’ospedale dove era stata malata, disse: “Senza tema di errore, Signori, questo è fatto con un carbonchio di peste”. E ciascuno di loro si stupì e non mancò di andare ad avvertire i Membri del Consiglio, che erano Iehan Baslard, Iehan Amy Botheylier, Perrin Villiet & Iehan Levrier, che convocarono immediatamente il Consiglio e gli esposero il caso, che comandò immediatamente al Segretario di andare a prendere questo Michiel Caddo, il quale fu trovato mentre cercava di salvarsi dentro al convento dei Cordiglieri detto Rive, nel quale era già stato benedetto.
Egli fu preso dal Segretario & portato in prigione dove i Signori Membri del Consiglio con altri delegati del Consiglio andarono per farlo confessare, poiché si era anche nei pressi di Pasqua. E all’inizio fece lo spiritoso, dicendo ai Membri del Consiglio: “Fate un grosso torto, Signori, disturbandomi & distogliendomi dal pensare alla mia confessione come sto facendo; aspettate fino a dopo Pasqua & vi dirò tutto”. I Membri del Consiglio gli risposero: “Bisogna che confessiate prima a noi”, & dal momento che tergiversava, gli presentarono la corda. Subito lui ebbe a dire che il pacchetto che aveva gettato era pieno del pus di una piaga da una grossa pustola che aveva in una gamba. Quando gli chiesero perché aveva fatto ciò, rispose: “Perché mi prendevano in giro per la mia piaga, che puzzava, & gliene volevo dare una come la mia, affinché non mi deridessero più”. I Membri del Consiglio, non contenti di quella risposta, gli fecero dare un giro di corda & allora lui disse tutto, accusò l’ospedaliere & alcuni dei curatori e curatrici, & per di più rivelò un certo rimedio per preservarsi che gli permetteva di maneggiare la peste senza danno, il quale è stato pubblicato a stampa, per il che non ne parlerò più oltre.
Immediatamente i signori cercarono di sapere i suoi complici, che furono esaminati, confrontati e torturati. E tutti parlarono come in un unico soffio, tranne un cameriere che vacillò, che si chiamava Lentille, del quale non si tenne molto conto & non ci si informò molto di lui. Questi prigionieri attesero fin dopo Pasqua, e poi li si fece morire, ma non in un unica volta, né in un unico giorno. [Furono condotti] su un carro per tutta la città, legati a un palo, nudi fino alla cintura. E avendo il boia preparato il fuoco sul carretto, vi scaldò le tenaglie: poi quando queste furono tutte rosse, diede a ogni crocevia un giro di pinza, che gli levò il pezzo di carne. E dopo furono condotti a Molard, dove su un patibolo ebbero le loro teste tagliate, poi furono squartati, & i quarti con le loro teste portati e attaccati in diversi posti, eccetto il figlio dell’ospedaliere, a causa della giovinezza gli fu data la grazia di tralasciare la prova: & non era ancora stato ucciso, che confessò di saper comporre bene il miscuglio paterno, e per questo, più per la paura del male a venire quanto per la vendetta del passato, perse anche lui la vita.
Grazie a Sofia per quanto ci ha aiutato a leggere e scoprire, seguitela su Twitter e ovviamente su Query, la rivista del CICAP di cui è la coordinatrice per l’edizione online.
Non credo di poter aggiungere altro.
maicolengel at butac punto it
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