Costellazioni familiari: una testimonianza
I nostri lettori più assidui ricorderanno l’uscita di un articolo sulle costellazioni familiari, oggi non più presente sul sito in quanto il suo autore ci ha imposto la cancellazione. In quel pezzo l’autore aveva spiegato i rischi di manipolazione emotiva dietro una delle tante terapie alternative scientificamente non provate, che si traducono in evidenti pericoli per la salute psichica ed emotiva. Ovviamente, un lavoro di inchiesta non si può mai dire concluso: ciascun elemento posto in dubbio potrà sempre godere di nuovi indizi e aprire nuove piste d’indagine – come in questo caso.
Quanto segue è la lettera di una donna che desidera rimanere anonima e spronava l’autore a indagare ulteriormente su un altro aspetto inquietante: a volte gli stessi psicologi suggeriscono di frequentare queste sedute. Il fatto che queste sedute siano presiedute da persone senza alcuna preparazione è ancora più grave.
Pubblichiamo questa lettera in forma integrale. Le uniche modifiche al testo sono la rimozione di tutto ciò che possa essere ricondotto all’identità della testimone e alcune modifiche per scorrevolezza nella lettura. Inoltre è stata suddivisa in sottocapitoli seguendo il senso logico.
La speranza è che questa lettera raggiunga quante più persone possibile, infondendo coraggio alle altre vittime di questa palese manipolazione emotiva. Se siete state vittime di queste persone, se avete anche voi una storia da raccontare, non esitate a mandare una mail in redazione.
Ciao BUTAC,
ho letto in questi giorni, con molto interesse, l’articolo sulle costellazioni familiari. Stavo facendo qualche ricerca in rete sull’argomento e mi sono resa conto che è uno dei pochi siti in cui si affronta l’argomento in modo critico (a parte qualche altro sito di chiara matrice cattolica, che risulta un po’ meno imparziale).
In un momento di difficoltà personale mi sono rivolta ad una psicologa indicatami da un medico, iscritta all’Ordine, assolutamente “regolare” da ogni punto di vista. A un certo punto, poiché la terapia non otteneva gli effetti sperati, mi ha suggerito di fare una seduta di “costellazioni familiari” da una sua conoscente. Non ti descrivo nei dettagli la seduta per non dilungarmi, ma in sintesi l’ho trovata sì assurda, ma anche molto suggestiva e quindi molto pericolosa per chi sia in una condizione di difficoltà psicologica e più portato alla creduloneria. Il fatto che poi sia uno psicologo a utilizzare questi mezzi chiaramente non fa che rivestire il tutto di un manto di affidabilità.
La prima esperienza
La mia prima esperienza di costellazioni familiari è avvenuta nell’autunno 2015. Ne avevo sentito molto parlare da persone vicine a me, e subito sottolineo come questa pratica sia diffusa tra persone tutt’altro che sprovvedute: parliamo di un amico insegnante con un dottorato in filosofia, di un’amica architetto e di un’amica più giovane, laureanda in medicina. Mi sono rivolta a un’associazione segnalatami da quest’ultima: si tratta di una piccola associazione il cui scopo è divulgare e promuovere tecniche e metodologie di tipo energetico, naturopatico e di valenza eco-sostenibile (riconosco che me la sono andata a cercare!). Le attività sono rivolte solo ai soci.
Mi muovo di mia iniziativa, mossa soprattutto da curiosità. Contatto la responsabile dell’associazione, che così si definisce, fra le tante qualifiche: facilitatrice in “Costellazioni Familiari sistemiche”, in formazione in “Costellazioni Rituali, sciamanismo e risoluzione dei traumi” con un tal dottore; certificata Siaf come operatore olistico.
Chiedo di partecipare a una seduta e mi viene risposto con una serie di indicazioni pratiche. Data, luogo, durata, costo – che, se ricordo bene, è di 40 euro per chi assiste alla seduta e circa il doppio per chi presenta una propria problematica al gruppo. Nessuno mi chiede motivazioni o problemi che mi hanno portato alle Costellazioni, né mi si danno indicazioni su come si svolgono.
L’incontro si tiene in un agriturismo per tutta la giornata di una domenica.
Un incontro inquietante
Quando arrivo trovo circa una trentina di persone, la maggior parte delle quali sono evidentemente dei frequentatori abituali. Età varie, direi dai 30 ai 50/60 anni, soprattutto donne. Effettuo l’iscrizione all’associazione e il pagamento della quota (con regolare ricevuta).
Veniamo disposti seduti in cerchio. La facilitatrice effettua una breve introduzione, ricordando anche il dovere di mantenere la riservatezza su ciò che si ascolta. Le persone che precedentemente hanno comunicato di voler portare una propria problematica vengono quindi invitate a farsi avanti.
Quella mattina assisto alle sedute di due persone. Non entro nei dettagli per loro rispetto, ma posso dire che una delle due esprime un disagio emotivo, mentre l’altra fa riferimento ad una storia di violenze famigliari piuttosto forte. In entrambi i casi, queste persone vengono invitate dalla facilitatrice a scegliere, tra i presenti, dei rappresentanti, ovvero delle persone che rappresentino, di volta in volta, le persone stesse, i loro congiunti, i loro antenati, la loro anima, il loro cuore. Queste si dispongono all’interno del cerchio, il cosiddetto “campo”.
Faccio fatica a descrivere il clima di isteria collettiva che si crea: non appena queste persone “entrano nel campo” cominciano scene bizzarre: si buttano a terra, si contorcono come tarantolati, piangono, singhiozzano, si abbracciano… si crea un’atmosfera emotivamente molto carica. Noto che la prima a “tarantolarsi” è, guarda caso, la collaboratrice della facilitatrice, quella che staccava le ricevute. La facilitatrice interviene dando istruzioni ai rappresentanti (ad esempio: di’ a questa persona: “io ti perdono”, di’ a tua madre: “tu muori e io vivo”…), che loro seguono. Le persone portatrici del problema assistono alla scena, piangono sconsolate e in teoria si liberano dei loro blocchi e problemi nel momento in cui queste frasi liberatorie vengono pronunciate.
Rimango raccapricciata davanti a tutto questo e fuggo con una scusa alla prima pausa utile.
“Ci sono molti operatori poco seri…”
Penso di aver chiuso la mia esperienza con le costellazioni familiari, e invece le incontro nuovamente sulla mia strada poco più di un mese fa.
A causa di alcuni problemi personali, questa primavera mi sono rivolta a una psicologa consigliatami da un medico che mi seguiva per un problema di salute. Si tratta di una professionista regolarmente iscritta all’Ordine, specializzata in Gestalt, più o meno sui 40 anni. Non è la prima volta che mi rivolgo ad uno psicologo, vari anni fa avevo seguito una psicoterapia di tipo psicodinamico e in tempi più recenti una terapia di tipo cognitivo-comportamentale, per cui ho un’idea sommaria delle caratteristiche dei vari approcci.
Le sedute si susseguono fino ad arrivare ad un momento, diciamo, di blocco, dovuto probabilmente a una mia incompatibilità, emersa lentamente, rispetto alla persona e al metodo. La terapeuta ritiene invece che possa ricondursi ad un “irretimento” – termine tipico delle Costellazioni familiari che indica un blocco personale derivante dal passato familiare, su cui, dice lei, nessuna psicoterapia può incidere, perché è al di fuori della sfera di controllo della volontà. Mi chiede perciò se sono interessata a fare una seduta di costellazioni familiari.
Le espongo tutte le mie perplessità derivanti dall’esperienza precedente. Lei mi rassicura dicendo che ci sono molti operatori poco seri, ma che l’operatrice da cui mi indirizza è molto preparata e molto intuitiva. Le chiedo se è questa persona è una psicologa: mi dice che non lo è, ma è una counsellor.
Accetto di fare questo esperimento, perciò contatto la counsellor. Si tratta di una persona che si presenta come formatrice di risorse umane, sempre facilitatore in Costellazioni Familiari e Sistemiche, nonché counsellor professionista. Sostiene di aver studiato coi “mostri sacri” delle costellazioni familiari.
La counsellor mi chiede di sentirci telefonicamente, e durante il colloquio mi spiega come funzionano le costellazioni. L’approccio mi sembra effettivamente più serio e pacato, per cui mi sento tranquillizzata.
Il secondo incontro
La seduta si svolge una sera, nello studio della conduttrice. Quando arrivo pago la mia quota, ricevendo regolare ricevuta. Sono presenti 10/12 persone, tutte donne a parte un uomo. Capirò poi che si tratta di un regolare frequentatore ed è stato chiamato perché mancavano presenze maschili. Anche in questo caso l’età è varia, spaziando più o meno dai 30 ai 60 anni. In una pausa avrò modo di chiacchierare con alcune delle persone, e nessuna di queste mi sembrerà particolarmente “semplice” o sprovveduta. Intuisco che la maggior parte, se non forse tutti, sono anche in questo caso dei frequentatori abituali, e quindi la loro situazione e le loro problematiche sono conosciute alla conduttrice.
Premetto che in generale per tutto il corso dell’incontro, che dura circa tre ore, il clima è sicuramente meno isterico e in qualche modo più ragionevole (apparentemente) rispetto all’altro incontro. Anche in questo caso ci sediamo in cerchio e la conduttrice, a beneficio di chi è nuovo, fa un breve preambolo illustrando cosa sono le costellazioni (con i vari riferimenti alla loro storia e alla psicogenealogia). Chiede quindi a tutti i presenti, a turno, di presentarsi dicendo nome, cognome, nome e cognome dei genitori e la domanda che portano alla seduta, ovvero il problema che intendono risolvere. In questo caso, quindi, tutti a turno sono rappresentanti e rappresentati.
Ogni persona sceglie tra le altre delle persone che rappresentino delle figure indicate dalla conduttrice (genitori, marito, antenati, sentimenti astratti come la rabbia…). I problemi portati sono dei più vari, da semplici questioni di cuore, a rogne famigliari di bassa lega, a lutti gravi e difficili da superare. È utile, dice la conduttrice, che tutti si alternino nel ruolo di rappresentanti e rappresentati perché anche quando si prende parte alla rappresentazione di problematiche altrui non si è mai scelti a caso, ma in virtù di parallelismi e richiami tra le diverse situazioni. La conduttrice spiega che chi è scelto per rappresentare deve semplicemente entrare nel campo (lo spazio in mezzo al cerchio dei partecipanti) e “sentire” quello che gli viene spontaneo fare.
Non faccio in tempo a chiedermi come si possa sentire spontaneamente questa cosa, che vengo scelta subito per fare la rappresentante. Nel momento in cui “entro” capisco cosa vuol dire “il campo di energia”: si è lì, in mezzo a una stanza, con gli occhi di tutti puntati addosso, con una persona (il rappresentato) che ti fissa perché dal tuo comportamento discenderà una qualche illuminazione su un suo problema esistenziale, il tutto sotto lo sguardo vigile e le direttive della conduttrice che, devo ammetterlo, ha comunque un suo carisma. La suggestione, insomma, è molto forte, gli altri rappresentanti, evidentemente già abituati, sono piuttosto intraprendenti e “fanno cose”, si allontanano, si avvicinano minacciosi. Vuoi che proprio io dica a tutte queste persone “scusate, ma io non sento nulla”? Mi sento quindi portata inevitabilmente a stare al gioco e “faccio cose” anch’io, di mia inventiva; essendo fondamentalmente di buon carattere, cerco di fare riconciliare tutti: sorrido, abbraccio, ricongiungo; se interrogata su cosa sento, dico un po’ a caso sentimenti positivi.
La conduttrice interviene dopo un po’ a dare indicazioni su cose da dire e da fare (esprimere sentimenti repressi, abbracciare…). Il rappresentato osserva e, con l’aiuto della conduttrice, interpreta le dinamiche che vede, che dovrebbero illuminare aspetti oscuri e sconosciuti dei suoi rapporti affettivi. Su tutti spicca il caso drammatico di una persona, evidentemente già frequentatrice delle sedute, che ha perso nell’infanzia il padre in circostanze drammatiche. In questo caso l’unico uomo presente è chiamato a rappresentare il padre, e, sia spontaneamente che su indicazioni della conduttrice, esprime una serie di affermazioni riguardanti i motivi della propria morte.
Durante la pausa successiva, la conduttrice racconta un’esperienza accadutale durante un corso sulle costellazioni a cui aveva preso parte: in quel caso, una donna era venuta spinta dal dolore per la morte dei genitori, avvenuta in un incidente automobilistico; i due rappresentanti che avevano interpretato i genitori defunti erano stati in grado di interpretare il momento della loro morte, riportando esattamente la dinamica dell’’incidente mortale, dovuto a un sorpasso azzardato (che chiaramente non potevano conoscere).
Le colpe dei padri
Quando tocca a me essere rappresentata, esprimo la mia problematica. La conduttrice ha un atteggiamento un po’ diverso da quello che ha con gli altri. Sta in silenzio, si concentra, infine si esprime: sente che nel mio passato familiare c’è un problema relativo a una mia antenata da parte paterna: si tratta di un’antenata a cui è stato tolto un figlio appena nato o che ha dovuto abbandonarlo appena dopo il parto.
Rimango ovviamente perplessa: non ho notizie di eventi del genere, in ogni caso i miei nonni da parte paterna sono morti molto prima che io nascessi, e non ho notizie delle generazioni precedenti. In ogni caso la problematica che ho posto io riguarda la mia situazione presente e non vedo assolutamente come questa “rivelazione” potrebbe aiutarmi.
La conduttrice insiste che sente fortemente questa cosa, che comunque non è importante che io conosca il fatto storico in sé, ma solo che io ne acquisisca consapevolezza. Mi invita quindi a scegliere una rappresentante per me, e lei sceglie un’altra persona che rappresenti la mia antenata. Non mi sfugge che quella scelta da lei è una persona che a sua volta aveva scelto me, e con cui mi sembrava di aver sviluppato una simpatia istintiva. La rappresentazione in sé non ha molto nerbo rispetto alle altre, è piuttosto freddina. Le due rappresentanti non interagiscono molto, quella che rappresenta me dice di sentirsi minacciata dall’“antenata”, questa ultima dice di sentire dolore e la necessità di “essere vista”. Rimango perplessa in un modo, credo, abbastanza percepibile.
Alla fine della rappresentazione, la conduttrice si concentra nuovamente e mi affida un rito da eseguire: portare un fiore come voto in una chiesa della zona, dove un tempo c’era la “ruota degli esposti”, in cui venivano abbandonati i bambini.
Quando finisce la seduta, vado a casa divisa da tra la rabbia per avere nuovamente dato spazio a un’esperienza assolutamente inutile (e aver speso 40 euro!) e la consapevolezza che quella a cui ho assistito è una pratica comunque secondo me pericolosa per chi si trovi in una situazione di debolezza psicologica. Paradossalmente, per i suoi toni pacati, è anche più pericolosa dell’altra esperienza a cui ho preso parte, in cui tutti erano talmente fuori di testa da risultare evidentemente sconclusionati. Qui mi sono trovata davanti a un incontro condotto in modo psicologicamente acuto da una persona che effettivamente sa inquadrare chi ha davanti e sa come comportarsi per fare presa; nel mio caso specifico, l’affidabilità della conduttrice è addirittura avvallata da una figura di ambito quasi medico, qual è una psicologa. Rifletto che forse, se fossi stata in un momento di crisi maggiore e avessi minore spirito critico, mi sarei anch’io fatta conquistare dalle doti quasi medianiche della signora.
Conclusioni
L’intera esperienza chiaramente mi fa perdere ogni fiducia nella psicologa. Decido di vederla un’ultima volta per chiarire. Non si rivela un incontro molto piacevole; limitandomi a quanto riguarda le costellazioni familiari, la psicologa, pur esprimendo dispiacere perché non è stata trattata la mia situazione attuale, ribadisce che la counsellor è una persona estremamente intuitiva – se non sensitiva, sembra far capire -, che può essere benissimo che nel passato della mia famiglia sia successo quello che lei ha visto e che io semplicemente non ne colga l’importanza perché non “pronta” per vedere e capire. Chiaramente questa affermazione è per me la fine di ogni possibile rapporto terapeutico.
Tronco il rapporto con questa psicologa; mi rimane, molto forte, il dubbio che lei non abbia agito in modo professionale rimandandomi a questo tipo di esperienza che, credo, non abbia alcun tipo di riconoscimento; lo trovo un passaggio pericolosissimo, perché attribuisce ulteriore forza alla pratica delle costellazioni, che già di per sé può avere un forte ascendente su chi si trovi in una situazione di debolezza psicologica.
Vorrei esortarti, se posso, ad approfondire l’argomento, sia perché è una pratica che si sta diffondendo moltissimo e ovviamente senza alcun controllo, sia perché c’è un altro aspetto che secondo me andrebbe approfondito, e cioè il fatto che a volte siano gli stessi psicologi che suggeriscono di frequentare queste sedute.
Una lettrice