Come funziona la pubblicità online

Spiegato a un (quasi) coetaneo che evidentemente ne capisce poco

Oggi tentiamo un’impresa difficile, spiegare in forma testuale a un signore di mezza età come funziona la pubblicità online. Tocca farlo perché c’è un signore che sta sostenendo con i suoi follower che a noi ci paga la Pfizer. Non faremo il suo nome visto che i suoi follower sostengono che parliamo di lui per farci pubblicità, tanto è solo uno dei mille guru che cerca visibilità approfittando della pandemia. Gente come nel corso degli anni ne abbiamo vista tanta, che ha scoperto che grazie all’ignoranza dilagante è abbastanza semplice farsi donare due soldini da chi è spaventato da vaccini, malattie e governo.

Riporta nel sito dove gli danno spazio:

Navingando (sic ndmaicolengel) sul sito di BUTAC, R***** G***** ha riscontrato alcune pubblicità che riferiscono a prodotti del colosso farmaceutico Pfizer. Una pura coincidenza? Si tratta di annunci automatici? Nient’affatto! Secondo Adsense, la piattaforma di Google che permette di monetizzare con la pubblicità sul proprio sito, l’amministratore può decidere quali annunci mostrare e quali invece bloccare. Gli amici fact-checkers, o sedicenti tali di BUTAC, guadagnerebbero quindi ben volentieri con gli annunci di Pfizer.

Partiamo da zero perché è evidente la scarsa conoscenza del web del signore, strano visto che fino a poco fa sembra che si guadagnasse da vivere proprio grazie al web. BUTAC ha pubblicità, probabilmente troppa per i nostri gusti, ma è stata l’unica strada per evitare determinati problemi. Mi spiego meglio. BUTAC fino al 2020 aveva un fornitore di pubblicità che si limitava a mettere tre banner negli articoli (nessuno in home page) e divideva con noi gli utili di quei tre banner. Piccole entrate che coprivano le spese vive del sito. Purtroppo però questa era l’unica cosa che quel fornitore faceva. BUTAC invece è un sito che subisce costanti attacchi web, e capitava spesso che avessimo bisogno di aiuto tecnico, che costava soldi che non avevamo. Fino al 2020, quando si è fatto avanti Mosai.co, che è l’attuale fornitore di pubblicità di BUTAC. Ma non si occupa solo di quella: dal 2020 e fino al termine del contratto, Mosai.co si occupa anche del server e di ogni problema tecnico del sito. Questo ha voluto dire più pubblicità sul sito, ma molte meno problematiche di altro genere, soprattutto di sicurezza. Non avete idea di cosa voglia dire non dover più cercare qualcuno che alle tre di notte si metta a contrastare attacchi DDoS e similari.

Ma quindi vi paga Pfizer?

Ovviamente no, ci paga Mosai.co e comunque si tratta sempre di poche centinaia di euro al mese, visto che abbiamo imposto che certi tipi di pubblicità – quelli che pagano di più – non possano finire sulle nostre pagine. Quindi abbiamo detto no alle scommesse online, no alla pseudomedicina, no a quelle “Complimenti hai vinto” e tante altre. Abbiamo anche detto no alla pubblicità di integratori e prodotti medicali.

Perché è vero che la pubblicità è filtrabile, esistono categorie che possono essere evitate, e noi appunto ne abbiamo selezionate tante. Non l’avessimo fatto avremmo abbondanza di pubblicità fuffa, come ne aveva il sito su cui il nostro detrattore ha scritto. Non l’avessimo fatto avremmo entrate fino a dieci volte quelle che abbiamo, lo sappiamo perché nel 2014 quando ne capivo poco di questa roba avevo fatto un account con AdSense e so quanto mi entrava con un singolo banner in home page. Ci ho messo pochissimo ad accorgermi che la pubblicità faceva schifo. I filtri permettono anche di bloccare una singola pubblicità, ma prima bisogna averla vista, aver cliccato sul link dell’annuncio e inserire quel link in uno specifico modulo di blocco. Quando ci segnalate una pubblicità invasiva o brutta se non ci fornite anche il link a cui la stessa rimanda non ci possiamo fare nulla, ma è successo svariate volte che tra i commenti di Facebook o del blog ci fossero scambi in cui chiedevamo per l’appunto il link della pubblicità da bloccare, spiegando come funzionava, in completa trasparenza. Ma in questo caso no, nessuno ci ha segnalato alcunché, e di conseguenza, anche se avessimo voluto, non avremmo avuto modo di fare nulla. Perché chi ospita pubblicità sul proprio sito sa di aver affittato uno spazio pubblicitario a un concessionario e detta alcuni requisiti per quello che (non) vi deve comparire, ma anche entrando sul sito non necessariamente vede tutte le inserzioni che visualizzano gli utenti che vi navigano, primo perché quando il gestore entra sul proprio sito avendo fatto il log in non vede pubblicità, secondo perché a ogni utente che naviga, come vedremo tra poco, capitano pubblicità diverse, generalmente a seconda dei suoi interessi.

Ma quindi Pfizer?

La pubblicità a cui fa riferimento il nostro amico è quello che potremmo definire “pubblicità progresso”, un contenuto video il cui scopo è quello di diffondere conoscenze sull’antimicrobicoresistenza, che è una problematica seria, non una sciocchezza. Quindi non ricade nella pubblicità commerciale di un prodotto, e di conseguenza è passata tra i nostri filtri sui prodotti medicali; e se anche qualcuno ce l’avesse segnalata non avremmo sentito l’esigenza di bloccarla, perché se può sensibilizzare qualcuno sui problemi creati dall’abuso di antibiotici ben venga.

Ci paga? No, o perlomeno non direttamente. Pfizer ha realizzato un sito e delle campagne pubblicitarie dedicate a questa problematica di cui le istituzioni sanitarie parlano da anni. I banner sono stati inseriti nel circuito pubblicitario del nostro concessionario, evidentemente in una categoria che non riguarda la vendita di prodotti medicali, e così sono arrivati anche su BUTAC. Se non ci fosse stato il caro amico a farcelo presente è possibile che non ce ne saremmo mai accorti, come non ci saremo accorti di chissà quante pubblicità nel corso degli anni, come dopotutto succede alla maggior parte di quelli che ospitano spazi pubblicitari sui propri siti. Anche perché fin da subito abbiamo accettato che la pubblicità fosse distribuita in base agli interessi dei nostri lettori. Quindi a me ad esempio sono settimane che appaiono solo pubblicità di macchine elettriche o macchine da caffè. Perché è un mese che col browser che uso di solito per navigare su BUTAC sto visitando spesso siti di recensioni di auto elettriche e ricariche caffè:

Noemi invece, che naviga su BUTAC con un browser dedicato solo a quello che evidentemente non ha raccolto particolari preferenze da parte sua, ne vede altre più generiche:

La cosa che ci fa più sorridere è la lamentela finale di questo soggetto:

B*******, a differenza di BUTAC, e altri smentitori seriali di notizie, non è invece autorizzato a fare pubblicità sul proprio sito. Il blocco di Google è arrivato in seguito all’altrettanto blocco del canale YouTube. Pur avendo decine di milioni di visualizzazioni al mese, B******* deve cercare di colmare l’introito mancato dagli annunci online con le generose donazioni dei lettori, nonché telespettatori.

Sì perché è vero che il sito su cui scrive e pubblica video non può più usare AdSense, ma prima di tutto come avrete capito nemmeno noi lo usiamo, e il sito in questione volendo avrebbe potuto tranquillamente cercare un altro fornitore pubblicitario. AdSense però è quello che – se non si applicano filtri ai contenuti – paga di più. Purtroppo, ovviamente, per poter avere la pubblicità più remunerativa bisogna sottostare a determinate regole, e se vengono violate possono essere imposte delle limitazioni.

È successo anche a noi, più volte, qui ad esempio ci comunicavano nel 2016 di aver respinto il nostro appello dopo una segnalazione:

Thank you for submitting an appeal. However, after thoroughly reviewing butac.it and taking your feedback into consideration, we are unable to enable ad serving to your site again at this time, as your site appears to still be in violation.

Example page where violation occurred: http://www.butac.it/600-milioni-di-euro-destinati-al-cambio-di-sesso/

Why was this action taken against my account:

Google ads may not be placed on pages with adult or any kinds of non family-safe content. This includes, but is not limited to, pages with images or videos containing:

    • Strategically covered nudity
    • Sheer or see-through clothing
    • Lewd or provocative poses
    • Close-ups of breasts, buttocks, or crotches

Content of this nature is considered to be in violation of policy, even when placed inside articles which are innocuous. Please note that to fix this violation, you need not censor the content itself, but you should stop placing ad code on the page.

Nel caso specifico all’interno dell’articolo (che risaliva al 2014) non c’erano contenuti che violassero i quattro punti evidenziati da Google, ma evidentemente qualche regola bigotta (o qualche navigatore bigotto) riteneva che l’argomento non andasse bene per la monetizzazione. In seguito alla notifica di Google ci siamo messi lì con la santa pazienza e abbiamo cercato di venire incontro ai requisiti imposti da Google rivedendo tutti gli articoli che potevano crearci problemi. Giusto? Sbagliato? Possiamo discuterne quanto volete, ma se si usano i servizi forniti da un privato bisogna sottostare alle regole imposte da quel privato.

Ovvio che se durante una pandemia ti metti a condividere notizie non verificate che possono mettere a rischio la salute pubblica perché ti sei reso conto che l’argomento genera viralità (che porta soldini), e poco conta l’affidabilità delle fonti, allora devi mettere in conto che forse stai andando contro alle regole della piattaforma che ti ospita, la quale potrebbe prendere provvedimenti per non perdere introiti pubblicitari da parte delle aziende che non vogliono essere associate al tuo nome e alla tua disinformazione costante.

Come avete visto anche a noi Google ha demonetizzato contenuti, quando abbiamo pensato fosse il caso abbiamo fratto ricorso contro le “sanzioni”, ma non ce ne siamo lamentati più di tanto, abbiamo letto i regolamenti, verificato il nostro dolo e accettato le decisioni. La differenza col nostro amico? Per noi questo è volontariato, che sarebbe bello venisse retribuito, ma non lo facciamo con l’idea del guadagno economico in testa e non cerchiamo ogni modo per tirare su due spicci. Il nostro amico invece pare che, più che cogliere occasioni, cerchi pretesti per raccogliere ulteriori donazioni, anche puntando il dito contro quelle che sono dinamiche normalissime, come sa chiunque navighi in rete usando un po’ di spirito critico. E, a vedere i commenti delle truppe cammellate che sono arrivate a farci gnè gnè perché “ci paga Pfizer”, tra i suoi lettori di utenti della rete con un po’ di spirito critico non devono essercene tanti.

Non credo sia necessario aggiungere altro.

maicolengel at butac punto it

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