Clickbait e divulgazione storica: un esempio

Tutto quello che non sapevate di non voler non sapere sulle strade romane e su altre cosucce

Rispondiamo alla segnalazione portataci da un nostro lettore su un paio di curiosi video di un certo Paul Whitewick, content-creator di origini inglesi che, assieme alla moglie Rebecca, si occupa di mappe, strade e ferrovie nella storia. I coniugi Whitewick ammettono di non essere degli storici, e sembrano piuttosto essere delle creature dell’internet: hanno contenuti di varia natura, spesso introdotti da titoli acchiappa-click e da copertine che ritraggono i loro creatori in emozioni esagerate.

I video che abbiamo preso in esame hanno per tema le strade romane, o meglio tutti i falsi miti che le circonderebbero. Pur non indulgendo nella fanta-archeologia, Whitewick mostra un approccio alla divulgazione storica bizzarro, a partire dal fatto che i miti che vorrebbe sfatare sembrano più che altro essere, se non un invenzione di Whitewick stesso, almeno un’interpretazione molto distorta di varie informazioni reperite ora qua ora là.

Qui di seguito il primo video, di circa quattro mesi fa:

E il secondo, più recente:

Strade tutte dritte?

La prima nozione contro cui ci si scaglia è quella delle strade romane perfettamente dritte, risultato che sarebbe stato possibile utilizzando uno strumento noto come “groma”. Sembra in effetti che il tema delle “straight roman roads” sia popolare nel mondo anglosassone, ed è vero che i Romani erano disposti talvolta a tracciare percorsi con pendenze significative. Non significa che all’occorrenza le strade romane non deviassero; né significa, visto che effettivamente deviavano all’occorrenza, che la groma – uno strumento che poteva essere usato anche solo per orientarsi in assenza di mappe dettagliate come noi le immaginiamo (che all’epoca appunto non esistevano, un altro dei “miti” sfatati da Whitewick) – non venisse utilizzata.

Strade su altre strade?

Di identica vaghezza è la discussione sul fatto che le strade romane si impiantassero su rotte già esistenti. Le rotte terrestri, anche quelle più antiche, tendono sempre ad impiantarsi ove il passaggio risulti più facile ed è quindi normale che una strada nuova sia costruita sul tracciato di una più antica, o nelle immediate vicinanze. I Romani si affidavano agli autoctoni per orientarsi nelle vaste province del loro impero, e le strade che costruivano miravano a migliorare il tessuto stradale già esistente. Anche questa non è però una verità assoluta: le necessità dell’impero erano grandi, ma lo erano anche le sue risorse, e Roma aveva la forza e la capacità di aprire rotte terrestri laddove queste non erano mai esistite.

Le tecniche di costruzione

Il punto principale è però nella tecnica costruttiva delle strade, su cui Whitewick si sofferma a lungo in entrambi i video. Nel video più recente la discussione prende le mosse proprio da quei meme che paragonano, chiaramente a fini umoristici e chiaramente in maniera non scientifica, le “immortali” strade romane con quelle moderne, piene di buchi come un groviera. Il paragone è ovviamente improprio per infiniti e ovvi motivi, e mi chiedo in realtà chi sia davvero convinto del contrario, ma per Whitewick diventa lo spunto per aprire una polemica con le “classiche” immagini che descrivono la strada romana come un profondo fossato riempito di strati di materiale litico di varie dimensioni fino alla pavimentazione a lastroni. Whitewick giustamente sottolinea che nel XVII secolo un passo del famoso architetto romano Vitruvio era stato interpretato erroneamente (Vitruvio stava scrivendo a proposito delle fondazioni di una villa, e non sulla tecnica di costruzione di una strada) ma sbaglia nel dire che la nostra conoscenza delle strade romane si fonda ancora su quella lettura sbagliata. Il problema è ben noto all’archeologia contemporanea – ne discute ad esempio Patrizia Basso, docente all’Università di Verona, nel libro da lei dedicato al tema – e ci basiamo invece su scavi e studi sul terreno.

Riempire di pietre di varie dimensioni un fossato serviva in effetti a realizzare un sistema drenante piuttosto efficace, ma la grande varietà delle tecniche che sappiamo furono utilizzate rende difficile fare un discorso generale. L’immagine è, insomma, un’illustrazione generica, un modello di riferimento, ma nella realtà possiamo trovare fossati più o meno profondi con tanti o pochi strati, pavimentazione in lastricato litico (specie nei centri urbani o in Italia) o più semplicemente un battuto, più economico ma non meno efficace. Come ricordato dallo stesso Whitewick, le fonti (il Digesto in particolare, una monumentale opera tardo antica che raccoglie e tramanda leggi repubblicane, alto e basso imperiali) specificano assai bene le differenze esistenti tra le piccole strade locali o vicinali e le grandi vie imperiali. Solo queste ultime erano costruite profittando del meglio della tecnica disponibile all’epoca, e solo su queste lo stato romano investiva abbondantemente.

In conclusione

Bene dunque voler spazzare via qualche luogo comune e qualche vecchio stereotipo, ma il “myth busting” (cioè lo sfatare miti) rischia spesso di fondarsi sul nulla. In generale, la divulgazione storica corre spesso il rischio di scadere nell’aneddoto, o di appiattire la discussione alla semplice verifica di fatti. Può non sembrare una gran cosa, e di certo i pericoli di una cattiva divulgazione nell’ambito delle scienze storiche e umane non sono tanto evidenti quanto quelli legati alla diffusione di cattive informazioni in ambito medico o psicologico, ma sul lungo periodo possono cristallizzarsi in sciocche ricostruzioni del passato che hanno brutte e nefaste ricadute sul presente. Se Whitewick sembra voler smontare il mito dell’eccellenza romana, molti altri canali, generalmente nostrani, insistono volentieri su una ricostruzione del passato altrettanto tendenziosa: Roma, come è già stata nel passato, diventa culla di ogni virtù e madre di ogni vizio, finendo per essere lo sfondo sul quale ognuno legge un po’ quello che vuole. Titoli esagerati (“tutto quello che sapete sulle strade romane è falso!”), accuse non circostanziate (“tutti pensano che”), e debunking senza un vero e proprio “bersaglio” sono generalmente spie di un contenuto superficiale che, nel migliore dei casi, andrebbe preso cum grano salis.

Lorenzo Boragno

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