Wanna e la magnifica ignoranza degli italiani

Perché è importante vedere il nuovo documentario di Netflix sulla "regina delle televendite"

Nessuna bufala oggi, ma un piccolo editoriale: se siete su BUTAC solo per sapere se una cosa è vera o falsa potete tornare in home page, ci sono tantissimi articoli da leggere.

Oggi voglio parlare con voi di una serie TV, di cui tanti hanno già parlato nei giorni scorsi. La serie è quella, uscita su Netflix da pochissimo, dedicata a Wanna Marchi. Ho letto tanti commenti in merito, tra cui quelli di chi si è lamentato dell’ulteriore visibilità e notorietà che si è data alla “regina delle televendite”.

BUTAC non è il sito ideale per fare recensioni di programmi TV, qualche rara volta abbiamo recensito libri che trattavano il nostro argomento chiave, l’information disorder. Ecco, oggi parliamo di Wanna per la stessa ragione, il disordine informativo o disturbo dell’informazione, perché un documentario come quello realizzato da Netflix dovrebbe farci riflettere tanto sulla portata del fenomeno.

Lo ammetto, io sono felice che Netflix abbia scelto di produrre la serie, non la penso come i tanti che la vedono solo come l’ennesimo mezzo con cui Wanna e Stefania ritrovano visibilità. Tutti dovrebbero guardarla per rendersi conto dell’abisso che esiste nel nostro Paese. Un abisso fatto di tante persone, a volte sole, a volte no ma come se lo fossero.

La serie di Netflix narra di fatti che risalgono ad anni fa, raccontando tutta la parabola di Wanna e di sua figlia. Ma non crediate, le cose non sono affatto cambiate: a casa, davanti alla TV è ancora pieno di persone come quelle che sentiamo testimoniare al processo contro Wanna. Persone che usano la televisione per farsi compagnia, persone che alla lunga sentono una certa familiarità con certi personaggi del piccolo schermo più che con gli stessi familiari. Magari i figli sono andati a studiare o a lavorare lontano, il partner lavora tutto il giorno, o peggio è morto, e allora chi è in TV diventa figlio, moglie, marito a seconda delle esigenze.

Io vorrei che tanti guardassero Wanna* per vedere quante persone normali sono state vittime del dinamico duo, e la facilità con cui Wanna e Stefania sono riuscite a guadagnarsi la fiducia del pubblico portando le proprie vittime a vuotare i propri conti correnti.

Facile guadagnarsi la fiducia quando questi imbonitori diventano star come Wanna, basta vedere le ospitate che le facevano fare già a fine anni Novanta…

 

Nelle quattro puntate che compongono la serie c’è un momento specifico che voglio riprendere qui con voi: un passaggio dell’intervista a Federica Landi, ex centralinista dell’azienda di Wanna Marchi. Federica racconta di una telefonata in cui un cliente, che aveva comperato i numeri del lotto e che insieme ad essi aveva ricevuto il fatidico sale, chiedeva lumi sul fatto che il sale non si fosse sciolto come invece le istruzioni allegate spiegavano che avrebbe dovuto fare. Federica, candidamente, cerca di spiegare che è normale, che è una prevedibile reazione chimica, che l’acqua è evidentemente satura e il sale non si scioglie più… Stefania Nobile l’assale, il core business dell’azienda è proprio quello di convincere chi chiama chiedendo lumi che ha delle “negatività”, che c’è qualcosa che non va, che serve un intervento del “Mago”.

Vi riporto le esatte parole di Federica Landi perché mi hanno colpito, e descrivono alla perfezione il motivo per cui sono dieci anni che sto qui a scrivere per BUTAC:

…ricordo che dicevo spesso ai miei amici che volevo che la gente sapesse quello che succedeva lì dentro, perché era profondamente sbagliato a livello morale, non sapevo neanche se fosse legale o non legale, il mio punto non era questa cosa è illegalequesta cosa è moralmente inaccettabile.

BUTAC esiste perché nel 2012, trovandomi davanti soggetti come Wanna Marchi, che invece di magie vendevano pseudocure e pseudorimedi (che in quanto a principi attivi non sono poi così diversi dalle magie di Do Nascimiento) ho pensato anche io che fosse moralmente inaccettabile che ci fosse gente che, giocando sulle paure dei propri follower (e potenziali clienti) guadagnasse cifre esorbitanti.

Non posso fare nomi, ma voi che leggete BUTAC da tempo sapete di chi parlo: ci sono quelli che raccolgono donazioni da centinaia di migliaia di euro al mese sostenendo che sennò la censura statale li colpirebbe, quelli che spacciano acqua e zuccherini come rimedi anche per malattie gravi, e quelli che hanno creato un  impero editoriale sulla fuffa.

In conclusione il documentario su Wanna Marchi ci mostra una realtà tragica e poco accettata da tanti: l’Italia è piena di persone deboli pronte a farsi abbindolare da abili venditori di fumo. Venditori che spacciano qualsiasi cosa possa portare loro un guadagno – compresa l’informazione, come vediamo tutti i giorni – anche se è immorale o, per parafrasare Landi, “moralmente inaccettabile”.

maicolengel at butac punto it

*Giuro, Netflix non mi paga, anzi, sono io che da anni pago l’abbonamento, e quando avrebbero avuto l’occasione per farci parlare di information disorder hanno scelto altri divulgatori, magari più noti ma meno ferrati sullo specifico argomento.

 

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