Assolto perché drogato – e due…
Il post riprende un articolo pubblicato sull’italica testata La Voce del Patriota (siamo nel 2020 e basta chiudere gli occhi un secondo per sentirsi nel 1922). L’articolo ci raccontava la sentenza emessa dalla corte francese sul caso di Kobili Traoré, di cui su BUTAC avevo parlato a luglio dell’anno scorso. A luglio però spiegavo appunto che la sentenza non era ancora stata emessa, ora invece possiamo raccontare qualcosa di più. La prima cosa da dire è che su questa sentenza gli avvocati della famiglia della vittima hanno già presentato ricorso in Cassazione (quindi non è detto che siamo a un giudizio definitivo).
Ma è comunque utile e interessante fare chiarezza su tutto il resto.
È vero, Kobili Traoré non è stato ritenuto responsabile penalmente, ma non per un errore della Corte, non per difendere un episodio antisemita, ma perché i periti chiamati a valutarne lo stato mentale hanno dichiarato che l’imputato è in preda a un delirio, quindi – esattamente come succederebbe per l’ordinamento italiano – non penalmente responsabile delle sue azioni. A luglio 2019 vi riportavo la spiegazione dell’art.95 del nostro Codice penale presente sul Brocardi:
La norma pone l’esigenza di chiarire la differenza tra stato di cronica intossicazione determinato dall’uso di alcool e stato di ubriachezza abituale (art. 94), per i quali il legislatore ha predisposto un trattamento differenziato. Infatti nel primo caso non c’è imputazione, mentre per la seconda ipotesi scattano gli aumenti di pena. La Corte Costituzionale, con sentenza 9 aprile 1998, n. 114, ha chiarito che la cronica intossicazione si differenzia dalla ubriachezza abituale in quanto è un dato irreversibile ovvero, in questo caso, i fenomeni tossici sono stabili, persistendo anche dopo l’eliminazione dell’alcool assunto, di conseguenza la capacità del soggetto può essere permanentemente esclusa o grandemente scemata (si pensi al delirium tremens, alla psicosi alcoolica di Korsakoff o alla paranoia alcoolica). Mentre nell’ubriachezza abituale i fenomeni tossici non sono onnipresenti,vengono meno, infatti,negli intervalli di astinenza, durante i quali il soggetto riacquista la capacità d’intendere e di volere.
Dopo due anni di perizie psichiatriche e analisi, si è arrivati alla conclusione che l’imputato è in uno stato di delirio, che necessita cure psichiatriche e non penali. Su Le Point, testata francese di approfondimento, c’è un’interessante intervista all’avvocato dell’imputato, non ve la riporto per intero, ma andrebbe letta per comprendere le motivazioni della sentenza.
Vi traduco solo la chiusura finale:
Sarebbe ingiusto mettere queste persone in prigione, sarebbe pericoloso per i suoi compagni di cella e gli altri prigionieri, l’amministrazione carceraria non riuscirebbe assolutamente a regolare le droghe in prigione, che circolano lì abbondantemente. Siamo quindi di fronte a un vero problema di protezione della società. E chi eredita questo problema? I medici. Questa è la soluzione meno negativa che abbiamo trovato.
Dobbiamo abituarci all’idea che viviamo in un mondo unico, fatto di persone capaci di commettere simili azioni, anch’esse appartenenti all’umanità. Nel caso di Kobili Traoré, la giustizia criminale ha appena notato la sua incompetenza, abbiamo medicina, psichiatria … sotto il controllo del giudice. È il sistema peggiore possibile esclusi tutti gli altri (semicit. da Winston Churchill, grazie all’aiuto di amica che ne sa più di me). Altrimenti, rimane la pena di morte o l’ospedale psichiatrico in stile sovietico.
Fomentare i propri follower/elettori senza spiegare che si tratta di una sentenza che non mette in libertà un assassino, ma che lo porterà a essere sottoposto a trattamenti medici per guarirlo o tenerlo sotto controllo è sbagliato. Specie quando i fatti sarebbero identici fosse avvenuto a casa nostra (o perlomeno lo sarebbero in caso le perizie mediche fatte sull’imputato avessero portato a questa conclusione). La legge è fatta per prevedere tutti i possibili casi in cui sia necessario avere delle regole precise da seguire. Se a Giorgia Meloni non sta bene l’art.95 del nostro Codice penale, non così diverso dagli articoli applicati nel caso francese, perché non ha tentato di modificarlo quando è stata al governo? C’è stata più volte negli ultimi vent’anni.
Non credo sia necessario aggiungere altro, perlomeno non finché si avrà notizia sul ricorso in cassazione. Quello che fa BUTAC è tentare di fare corretta informazione, quello che ha fatto il social media manager di Giorgia Meloni è, a mio avviso, avvelenamento del pozzo fatto sfruttando l’account ufficiale di un politico italiano abbastanza in vista.
maicolengel at butac punto it
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