Firehawks – I falchi incendiari

Con l'aiuto di esperti sfatiamo una leggenda urbana

Da qualche anno torna alla ribalta, in modo ciclico, la storia dei falchi incendiari australiani: sono tre specie di falchi che raccolgono rametti o erba ardenti, li trasportano in volo in zone non toccate dal fuoco e li lasciano cadere, dando vita a nuovi incendi. Si dice che lo facciano apposta, deliberatamente.

Questa storia compare sui social, la riportano riviste generaliste e di settore e così, come al solito, quando una cosa è ripetuta abbastanza volte, diventa un fatto.

Invece no, non lo è, nel senso che non è dimostrata l’intenzionalità, e dato che sarebbe un comportamento eccezionale, per poterne parlare come di un fatto accertato ci vorrebbero dati sperimentali o almeno una documentazione video che lo dimostri.
Tutti, ma proprio tutti gli articoli, inclusi quelli “seri”, si riferiscono a un’unica pubblicazione, uscita su una rivista di etnobiologia, disciplina rispettabilissima e importante nell’apporto di dati utili, ad esempio nel documentare il processo di domesticazione, o in antropologia. Però anche loro dovrebbero basarsi sul metodo scientifico, cioè dimostrare quello che sostengono.
Invece tutte le loro affermazioni si basano su testimonianze; di aborigeni (IEK: Indigenous Ecological Knowledge) e non, ma sono tutti, e solo, racconti e osservazioni. Nessun dato sperimentale e nessun documento video. In realtà ci hanno provato, a registrare il comportamento: gli aborigeni dicono che i falchi rubano i ramoscelli ardenti dai falò accesi per cucinare. Ecco, questo sarebbe un buon argomento a sostegno; ma non sono mai riusciti a documentarlo (e nemmeno dagli incendi, del resto).

Sulle capacità cognitive degli uccelli nessuno discute più: oltre a riscontri neurobiologici schiaccianti, si sono accumulati e continuano ad aggiungersi nuovi dati, su corvidi e pappagalli in particolare: metacognizione, teoria della mente, e naturalmente uso e fabbricazione di strumenti.

Ma a oggi l’unico animale conosciuto in grado di utilizzare il fuoco come strumento è Homo sapiens. I falchi sarebbero i primi e unici animali non umani in grado di farlo, quindi è quantomeno strano che in campo etologico e in scienze cognitive non se ne sapesse niente, e che una notizia così fantastica sia stata completamente ignorata proprio dagli studiosi che non vedono l’ora di aggiungere dati a quanto sostengono (e dimostrano). Del resto in sede scientifica c’è abbondante scetticismo.

È sicuramente vero che i falchi raccolgono materiale ardente: volano davanti al fronte del fuoco per catturare con facilità i piccoli animali che fuggono disperatamente dalle fiamme; si tuffano e ghermiscono al volo, è normale che raccolgano anche erba o rametti incendiati invece, o insieme, alle prede. Ed è abbastanza ovvio che quando si scottano, dopo 3 o 30 secondi (cioè dopo 10 o 100 metri) mollino tutto dove capita, cioè di solito su zone non incendiate, dato che al fronte del fuoco si avvicinano solo per catturare le prede: di sicuro non si divertono a stare in volo sopra le fiamme e nemmeno dove c’è terra bruciata.
Ma l’intenzionalità, cioè il fatto che raccolgano deliberatamente materiale infuocato e lo portino altrove per appiccare nuovi incendi, è tutta da dimostrare.

Nessuno vuole svilire l’etnobiologia, le capacità cognitive degli uccelli o gli aborigeni, anzi; ma in campo scientifico non funziona così, le cose devono essere dimostrate (per fortuna), a maggior ragione se sono improbabili; e questa lo è.
Non si sostiene che sia falsa, potrebbe essere vera; ma non si può nemmeno affermare, come fanno ormai tutti, che sia realtà: non è dimostrata, e quando si è provato a dimostrarla o a documentarla, non ci si è mai riusciti, almeno fino a oggi.

Di seguito dei link di riviste che ne parlano, come esempi:

Il blog dell’organizzazione no profit Nature Conservancy; National Geographic, con maggiore scetticismo; un video sul canale YouTube di “The new scientist” (!), portato come prova, che non dimostra un bel niente; un’altra “prova“.


Redazione BUTAC

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