La Kyenge difende l’assassino
Ormai ci siamo abituati, certe testate devono per forza stravolgere parole e fatti per portare acqua al proprio mulino. AffariItaliani già di per sé non è una testata a cui mi affiderei, ma il Giornale decide che è ottimo spunto per il loro articolo, che titola così:
Coniugi uccisi, Kyenge “difende” il profugo: “Non etnicizzate il reato”
Inizia malissimo l’articolo:
Poco importa, a Cècile Kyenge, che i due anziani uccisi nella loro casa a Catania siano stati brutalmente colpiti a morte da un richiedente asilo, ospitato al Cara di Mineo.
In realtà subito dopo la foto ritorna sui binari e riporta un sunto lievemente fazioso di quanto detto da AffariItaliani. Ma quell’apertura e il titolone, al lettore medio, bastano per indignarsi e vedere nella Kyenge il nemico da combattere e contro cui sbraitare.
Riporto il virgolettato che AffariItaliani attribuisce all’ex ministro:
Mi dispiace per le persone morte e anche per la famiglia, mi dispace per quello che è successo, ma oggi se c’è un messaggio che noi politici dobbiamo far passare alla popolazione che ci ascolta è che il crimine non può essere etnicizzato. In questo momento è chiaro che la morte di due persone care è una brutta cosa e di fronte a questo fatto faccio le mie condoglianze alla famiglia delle vittime. Ma al di là del dolore il mio impegno politico è quello di far capire alla popolazione che ogni persona risponde delle sue responsabilità che non può essere generalizzata a una comunità o a una categoria di persone. Chiunque delinque deve rispondere davanti alla legge, che sia italiano o straniero. La resposanbilità di un atto criminale riguarda la persona. Dobbiamo quindi uscire da questa polemica e da questa strumenatalizzazione per dare risposte che non possono essere quelle di governare l’immigrazione facendo paura alla popolazione. La popolazione ha bisogno di aiuto ma non servono messaggi che facciano capire che gli altri sono un pericolo. Dobbiamo invece passare messaggi che devono far capire che se riusciremo insieme, al di là del colore della pelle, a reagire come un tutt’uno per costruire una nuova comunità e mettere in concreto il concetto di accoglienza, ma anche di libera circolazione sul territorio, saremmo tutti più forti. Sostegno quindi alla famiglia delle vittime ma alla famiglia dico che il più grande sostegno consiste nel dare risposte concrete per far capire che va condannato chi commette un crimine ma che la condanna non va estesa a una comunità o a una categoria di persone. Può delinquere un italiano, un europeo, un americano o chiunque, ma non scendiamo sulla strada della strumentalizzazione. Questo è il massaggio che dobbiamo comunicare.
A parte i refusi nel testo direi sia un messaggio condivisibile. Non qualcosa per cui indignarsi. C’è un’emergenza immigrazione su tutto il territorio europeo, ne abbiamo già parlato più volte. Ne arrivano da ogni lato, e l’Italia non è il paese che ne sta ospitando di più.
Al momento non c’è altra soluzione attuabile per fronteggiare il problema se non la prima accoglienza e il controllo su chi entra, controllo non facile, sia chiaro. Ma non farli approdare non si può, non farli partire vorrebbe dire dichiarare guerra ai paesi dove attraccano gli scafisti. A meno che non si vogliano affondare i barconi quando sono in vista delle nostre coste e lasciarli morire in mare aperto.
Che una coppia sia stata uccisa, è di per sé terrificante. Che l’abbia fatto un ivoriano, un nigeriano o un italiano non è il fulcro della questione. C’è stato un delitto, la polizia ha probabilmente trovato il colpevole. Ora si tratta di capire come si siano svolti i fatti, se ci siano complici o altre irregolarità nella presenza dell’ivoriano in Italia.
Sia chiaro, l’immigrato che delinque è da punire, seriamente e senza alcun buonismo, esattamente come dovrebbe venire punito l’italiano. Non è importante da dove vieni, ma come ti comporti.
Generalizzare, associare, indignare, giusto per il gusto di colpire allo stomaco, sperando in nuovi lettori, e magari anche elettori, invece è brutto.
Non è questo il giornalismo che vorrei vedere, non è questo il modo di fare informazione.
maicolengel at butac.it