Seconda guerra mondiale: tedeschi corretti e americani stupratori

La sconvolgente rivelazione di Massimo Fini

Il 28 aprile sul Fatto Quotidiano è stato pubblicato un articolo di Massimo Fini dal titolo:

La pietà di “Pedro”, vera resistenza

Pedro era il nome di battaglia del partigiano che catturò Mussolini e successivamente lo consegnò al “colonello Valerio” (altro nome di battaglia) che si occupò dell’esecuzione del dittatore, della sua amante e degli altri gerarchi in fuga con loro.

Il paragone tra questi due personaggi è lo spunto dell’autore per riflettere – molto criticamente – sulla narrazione relativa alla Resistenza. La tesi fondamentale è che i partigiani furono poche decine di migliaia e che tramite la glorificazione della loro lotta l’Italia ha voluto dimenticare i vent’anni del precedente regime e della guerra a fianco dei tedeschi.

Di per sé la tesi non è particolarmente scandalosa, ma l’articolo prosegue prendendo una piega piuttosto strana:

Io non ho aspettato Luciano Violante per affermare che i ragazzi che andarono a morire per Salò avevano pari dignità con i partigiani. Le due parti si battevano per valori diversi: per la libertà i partigiani, quelli veri, per l’onore e la lealtà i giovani fascisti. Lealtà nei confronti dell’alleato tedesco. Con quell’alleato non ci si doveva alleare, ma voltargli le spalle, in una lotta per la vita o per la morte, quando si fa palese la sconfitta, è stato un tradimento indegno e l’8 settembre, che oggi qualcuno vorrebbe far assurgere a festa nazionale, una delle pagine più ingloriose della storia italiana recente.

Con uno scarto logico piuttosto brusco, l’autore passa dal ridimensionamento del significato della Resistenza all’interno del conflitto all’equiparazione della scelta tra la lotta partigiana e l’adesione al fascismo repubblicano e alla Repubblica Sociale Italiana. L’articolo prosegue:

Gli occupanti in Italia non erano i tedeschi, ma gli Alleati. E l’esercito tedesco, a parte alcune azioni efferate, veri crimini di guerra a opera dei reparti speciali, le SS (Marzabotto e Sant’anna di Stazzema in testa), in Italia si comportò con correttezza. Non c’è stato un solo caso di stupro addebitabile ai soldati tedeschi, mentre innumerevoli sono stati gli stupri perpetrati dai soldati americani che oggi noi, per pudicizia, chiamiamo “marocchinate”. Nel bene e nel male i tedeschi rimangono tedeschi. E anche la Götterdämmerung della classe dirigente nazista ha qualcosa di grandioso, bisogna essere almeno all’altezza delle proprie cattive azioni. Niente a che vedere con Mussolini che dopo tutta la retorica sulla “bella morte”, che spinse, come abbiamo detto, tanti giovani italiani a immolarsi per Salò, fugge come un coniglio travestito da soldato tedesco.

Il testo si conclude con una serie di contumelie, più o meno giustificate, nei confronti delle classi dirigenti italiane da Vittorio Emanuele III a Craxi, insultando en passant anche Aldo Moro.

In questo articolo ci sono molte affermazioni ardite e una vera e propria balla. Ma andiamo per ordine.

Pari dignità ai ragazzi di Salò e ai partigiani

È da parecchio tempo che la storiografia italiana più seria ha cominciato a studiare aspetti della Resistenza prima ignorati: particolarmente meritorio in questo senso è stato il libro Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza del compianto Claudio Pavone.

Purtroppo di tutto questo nel dibattitto pubblico è arrivato molto poco, e ci si è continuati a chiedere chi fosse “buono” o meno, se la scelta fascista potesse essere fatta anche da persone buone (ovviamente sì) e se viceversa esistevano anche dei partigiani cattivi (ovviamente sì). Massimo Fini si inserisce in questo filone facendo un passo più, suggerendo che entrambe le scelte abbiano pari dignità.

Il problema di questa posizione è che le scelte individuali hanno un riflesso sull’intera collettività e dunque chi ha aderito alla RSI ha di fatto difeso un’atroce dittatura, e chi ha fatto il partigiano ha di fatto contribuito alla nascita della nostra Repubblica (scalcagnata quanto si vuole, ma molto meglio di qualunque cosa potessero offrire fascismo e nazismo). Non ha quindi importanza, all’interno di una riflessione storiografica come quella che Fini sta facendo, concentrarsi sul valore delle scelte individuali. A meno che l’obiettivo non sia quello di dire che in fondo sono tutti uguali.

L’indegno tradimento dell’8 settembre

Nell’articolo Fini definisce l’8 settembre come un indegno tradimento, una delle pagine più ingloriose della nostra storia. Motiva il tutto sulla base del fatto che pur non dovendosi alleare con la Germania nazista, una volta decisa l’alleanza non la si poteva tradire nella sua lotta per la vita o la morte.

Ci sono due cose che vale la pena osservare. La prima è che il tradimento di cui parla Fini lo hanno compiuto tutti, ma proprio tutti, gli alleati della Germania che non fossero completamente in suo potere. Dalla Romania all’Ungheria, dalla Finlandia alla Bulgaria tutti i fedeli camerati dell’Asse che ne hanno avuto la possibilità hanno cambiato schieramento o almeno ci hanno provato. Questo perché le classi dirigenti di un Paese hanno il sacrosanto dovere di terminare il prima possibile una guerra che sanno di non potere vincere.

La particolarità del caso italiano consiste nel fatto che, a differenza di tutti gli altri Paesi ex alleati dei tedeschi, al momento dell’armistizio il nostro esercito è stato abbandonato e ha finito per sciogliersi. Non solo, i più importanti rappresentati delle istituzioni dello stato sono scappati alla chetichella non lasciando nessuna disposizione coerente, preoccupati unicamente di salvare le proprie vite. Questo comportamento è vergognoso, ma abbandonare la lotta al fianco di uno dei regimi più disgustosi che la storia abbia mai visto era assolutamente sacrosanto.

La seconda osservazione da fare è che i rapporti tra Italia e Germania erano stati contrassegnati dalla massima sfiducia fin dall’inizio dell’Asse Roma-Berlino. L’establishment tedesco aveva in genere una pessima opinione dell’Italia e della sua utilità ed era ricambiato dalla diffidenza per la Germania che in Italia covava anche nelle più alte cariche del regime (e in Mussolini stesso, per di più). Terzo Reich e Italia fascista cercarono di usarsi a vicenda per i propri scopi, al di là della retorica dei regimi fratelli e del patto di acciaio.

Sarebbe troppo lungo ricostruire la storia dei rapporti italo-tedeschi negli anni Trenta e Quaranta, ma a titolo di esempio ricordiamo che la Germania non avvisò l’Italia dell’invasione della Russia e viceversa Mussolini si guardò bene dal parlare a Hitler dell’invasione della Grecia. Per chi è interessato all’argomento consiglio vivamente la biografia di Mussolini scritta da Renzo De Felice (in particolare i volumi Mussolini il duce. Vol. II: Lo Stato totalitario 1936-1940; Mussolini l’alleato. Vol. I. L’Italia in guerra, 1940-1943. Tomo I: Dalla guerra «breve» alla guerra lunga; Mussolini l’alleato. Vol. II. L’Italia in guerra 1940-1943. Tomo II: Crisi e agonia del regime). Italia e Germania si sono “tradite” vicendevolmente numerose volte e francamente tutta questa retorica (di stampo fascista, peraltro) sull’abbandono dell’alleato è ridicola.

Gli occupanti Alleati e gli “invitati” tedeschi

Dire che gli Alleati erano occupanti e i tedeschi no è veramente un capolavoro di illogicità. Gli angloamericani avevano invaso l’Italia, vero. Dopo l’8 settembre però il legittimo governo italiano, indegno ma legittimo, aveva scelto di arrendersi e di non opporre resistenza agli Alleati. Successivamente quello che venne chiamato Regno del Sud divenne anche cobelligerante al fianco degli inglesi e degli americani. Erano i tedeschi a quel punto gli unici occupanti del Paese.

 

Gli Alleati stuprarono, ma la Germania era veramente nostra amica

Questo è il punto più controverso dell’articolo. Fini sostiene che, a parte alcune “azioni efferate” (leggi: stragi), i tedeschi si comportarono così correttamente da non avere mai stuprato nemmeno una donna italiana, a differenza da quanto fatto dagli americani. Questa è una balla e vediamo subito perché.

È vero che i soldati alleati si sono macchiati di crimini contro la popolazione italiana. Nello specifico, secondo i dati del ministero della Difesa dall’8 settembre del ’43 al 30 giugno del ’47 sono stati commessi 1159 casi di stupro (fonte Maria Porzio, Arrivano gli alleati! Amori e violenze nell’Italia «liberata»).

Come mostra la tabella, checché ne dica Massimo Fini, gli stupri commessi dagli Alleati vengono chiamati comunemente “marocchinate” perché l’89,45% delle violenze sono state commesse dalle truppe coloniali francesi e non dagli americani (vero bersaglio dell’articolo). Sul perché esista questa clamorosa sproporzione ci sono varie ragioni, ma esulano dall’argomento che trattiamo.

Veniamo agli stupri commessi – perché sì li hanno commessi – dai soldati tedeschi. Purtroppo non sono riuscito a trovare una stima nazionale, ma ci sono due fonti che smentiscono decisamente la balla raccontata da Fini. La prima è il libro di Carlo Gentile I crimini di guerra tedeschi in Italia. Nella sezione dedicata specificamente alle violenze sessuali l’autore afferma:

Che nell’Italia occupata anche i tedeschi si siano resi responsabili di violenze carnali lo dimostrano gli archivi dei Carabinieri, con abbondanza di particolari. Lo studio dei dati relativi a tre provincie toscane mostra che i casi denunciati furono qualche dozzina: le liste della provincia di Arezzo elencano 16 casi con 20 vittime; quelle di Siena registrano dieci casi; le tre relative alla provincia di Firenze parlando di 26 casi, per oltre 40 vittime in tutto. Ma è molto difficile farsi un’idea concreta dell’estensione del fenomeno, tenuto conto che moltissimi episodi non furono mai denunciati. I dati a nostra disposizione non possono quindi [che] venire considerati indicativi, né tantomeno esaustivi.

Come sottolinea Gentile non è possibile fare osservazioni di carattere generale, ma sicuramente possiamo affermare con certezza che anche le truppe tedesche violentarono delle donne. Fini quindi mente quando afferma il contrario, e così facendo lede la memoria di tutte le persone che hanno subito quelle violenze.

L’altra fonte che smentisce le affermazioni di Fini è l’Atlante delle stragi nazifasciste, un portale online in cui è possibile ritrovare tutte le violenze, con relativa documentazione, commesse dai fascisti e dai nazisti.

Non sento il bisogno di entrare nel campo delle rappresaglie e delle numerose stragi compiute anche dalle regolari truppe della Wehrmacht giacché lo stesso Fini ammette che azioni efferate ci sono state, pur dicendo che l’esercito tedesco si è comportato correttamente. Un po’ come dire che Olindo e Rosa Bazzi sono ottimi vicini, a parte il vizio del quadruplice omicidio.

Chi volesse però approfondire l’aspetto legale della questione delle rappresaglie può trovare un interessante contenuto qui.

Conclusione

Al di là delle affermazioni di Fini, giornalista che ha da tempo perso il senso della misura (anche nella provocazione), è veramente degno di nota in negativo il comportamento del Fatto Quotidiano. Fini ha le sue opinioni e se il giornale le considera interessanti fa bene a ospitarle e ad assumersi la responsabilità di farlo; deve però essere ci un minimo di filtro. Non è possibile permettere la pubblicazione di balle clamorose, nascondendosi dietro il “pezzo d’opinione”.

Michele Armellini

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