Trump il cowboy contro Obama lo schiavo

Neil 25 Gen 2017
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Ci sono alcune rubriche storiche nei giornali italiani che negli anni hanno sempre avuto qualcosa di interessante da raccontare e senza dubbio l’Amaca di Michele Serra è uno di questi. Generalmente è una lettura interessante, ma quella del 22 gennaio che ci hanno segnalato è un po’ strana. Qui la trovate in originale, ma ve la riporto per facilitarvi la lettura:

Mai cambio della guardia fu più carico di significati. Il pronipote di schiavi sembrava un principe. Il miliardario americano sembrava un miliardario americano, prototipo umano che specialmente nella versione di Trump — decisamente estrema — è la cosa meno simile a un principe mai vista sotto il cielo. Il suprematismo bianco ne usciva a pezzi, il nuovo presidente ne è il peggior testimonial possibile. Si poteva intuire, risalendo per li rami, che il cow-boy bisavolo di Trump, quando entrava nel saloon con lo stuzzicadenti in bocca, non era molto più chic del bisavolo di Obama nei campi di cotone. E almeno gli avi di Obama cantavano il blues, e non quel terribile country con la giacca bianca piena di frange.

Per fortuna la cerimonia è stata un unicum, e non è previsto che i due si facciano vedere assieme altre volte: rischierebbe di nascerne un deplorevole quanto inevitabile suprematismo nero. Interverrebbe, per rimediare, il politically correct: «Non chiamateli “bianchi”, poverini, non sta bene definire una persona dal colore della pelle. Chiamateli euroamericani ». Se euroamericani non è abbastanza patriottico, si può provare con “americani di mezzo”, o medioamericani: quelli che sono arrivati lì dopo i Sioux e prima dei cinesi.

Non mi è ben chiara la parte finale, limite mio senza dubbio, ma la cerimonia di inaugurazione della presidenza Trump raccontata in questo modo ha un grave difetto: il contatto con la realtà. L’avo di Trump rappresentato come un cow-boy mentre quello di Obama uno schiavo nei campi di cotone sono figure che non stanno in piedi. Figure suggestive ma impossibili.

Trump, nato nel Queens, New York, discende da famiglia di origini tedesche e scozzesi: suo padre, Frederick Christ Trump, è nato negli States, ma figlio di un immigrato tedesco, Frederick Trump, sbarcato negli USA nel 1885, mentre la madre, Mary Ann Macleod, nacque in Scozia. Del vecchio West non c’è traccia nel sangue di Donald, piuttosto molto sangue europeo. Tra l’altro secondo un biografo di Trump, uno dei suoi antenati aveva cambiato il nome di famiglia da Drumpf a Trump.

E il triste passato nei campi di cotone della famiglia Obama? Purtroppo per il racconto di Serra non c’è neanche quello. Barack Hussein Obama nasce a Honolulu, Hawaii, quindi purtroppo per i birther in suolo americano, ma le sue origini non sono proprio delle terre del blues e del jazz. Il padre, Barack Hussein Obama Senior era nativo del Kenya, mentre la madre, Stanley Ann Dunham, era una ragazza bianca del Kansas. I due si conobbero durante gli studi nelle Hawaii e divorziarono quando il figlio era ancora piccolo. Anche per lui una normale storia di famiglia di immigrati.

Michelle, la moglie, ha avuto degli antenati che hanno vissuto la schiavitù in South Carolina, ma è un salvataggio in corner poco utile. In realtà tutto questo ci dovrebbe far ragionare su cosa voglia dire essere americano. Per quanto non sia mai stato un obamiano, gli USA hanno avuto un presidente che ha rappresentato la vera essenza dell’americanità e cioè l’impossibilità di darne una definizione precisa, mentre ora c’è un presidente che parla di “America First” dimenticandosi di quanta percentuale di sangue europeo scorra nelle sue vene, e in quelle dei suoi figli.

Ricordatevi di amare col cuore, ma per tutto il resto di usare la testa.

neilperri @ butac.it

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