Donazione di organi e storytelling allarmanti

Una carrellata della disinformazione più frequente su un tema cruciale

Qualche giorno fa ho pensato di fare chiarezza su come funzioni la donazione di organi in Italia. Tutto era partito da un lungo post di Facebook che ci avevano segnalato, pubblicato sul profilo di Eleonora Brigliadori. Adesso che abbiamo le basi, possiamo analizzare il post per vedere quali sono le inesattezze; essendo lunghissimo, riportiamo una alla volta le affermazioni oggetto della nostra analisi, ma potete leggere qui la versione integrale.

Cerchiamo di rendere l’analisi il più snella possibile, vista la quantità di informazioni riportate, sorvolando per quanto possibile sulla traduzione, a tratti molto discutibile e un po’ sconclusionata.

L’ho preso dal profilo di un medico..che conferma.

Come spesso succede in questo caso, il post originale è in inglese. Il più vecchio che ho trovato è questo, pubblicato il 24 aprile di quest’anno sul profilo non di un medico, ma di un imprenditore sudafricano che vende impianti home theatre.

Forse il medico citato è quello il cui nome viene riportato alla fine del post? Tale Franco Chendi? Che in effetti aveva pubblicato il post in questione, sempre il 24 aprile, con la stessa foto.
Peccato che lui stesso sul suo profilo Facebook si definisca “creator digitale” e “ufologo e pilota d’aereo”; scrive inoltre di lavorare come pilota e attore.
Quando ho visto il suo profilo per la prima volta, il primo post parlava delle scie chimiche; quando l’ho ricontrollato per scrivere questo articolo il primo post era sulla Terra piatta.

Quando i morti cerebrali si stendono sul tavolo operatorio per sottoporsi ad un intervento chirurgico, nel 75% dei casi succede che compiano reazioni difensive spontanee con braccia e gambe.

Questo paragrafo sembra prendere e travisare questo studio, o uno analogo, in cui si parla dei riflessi spinali che possono avvenire nei pazienti dichiarati morti secondo criteri cerebrali, non solo se vengono portati in sala operatoria ma in generale.
Perché è importante sottolineare “spinali”? Perché se l’encefalo muore il midollo spinale può rimanere funzionante. Alcuni riflessi muscolo-tendinei avvengono solo grazie al midollo spinale, senza bisogno di “salire” fino all’encefalo. Un esempio sono i riflessi rotulei che vengono provati con il martelletto durante la visita neurologica.

Succede anche che si siedano completamente in verticale…

Nessuno ha mai raccontato di pazienti che si mettessero seduti dopo una dichiarazione di morte cerebrale.

…afferrano forte la loro badante o addirittura lo avvolgono…

Cosa ci fa la loro badante in sala operatoria?

…e fanno rumori di garrling.

“Garrling” è probabilmente un errore di spelling di “gargling”, cioè “gorgoglio” o “gargarismo”. Quasi sicuramente fa riferimento a un fenomeno reale, quello che in inglese viene chiamato “death rattle” e in italiano “rantolo della morte”.
Si tratta di un suono dovuto all’accumulo di secrezioni a livello delle vie aeree superiori. La saliva e le secrezioni bronchiali non vengono deglutite e quindi rimangono lì, dove creano rumore al passaggio dell’aria (ricordo che questi pazienti sono ventilati meccanicamente da un respiratore).

Non credo di dover sottolineare come dettagli di questo tipo contribuiscano soprattutto a generare emotività nel lettore. Sono tutte finezze che spingono verso una reazione viscerale di rifiuto. Perché a nessuno “piace” sentir parlare di morte.

Anche la pressione sanguigna e la frequenza cardiaca aumentano.

Questa in realtà è una grossolana semplificazione.
Quando i neuroni muoiono, la pressione dentro il cranio aumenta e questo porta a un rialzo di quella sanguigna. Si chiama riflesso di Cushing ed è transitorio, spesso seguito da una fase di ipotensione molto difficile da gestire.
In generale il paziente morto “a cuore battente” viene definito “emodinamicamente instabile” e richiede un attento monitoraggio e dosi consistenti di farmaci vasoattivi, per non compromettere la perfusione degli organi che verranno donati.
Parlo di “organi che verranno donati” perché, dopo la diagnosi di morte cerebrale, se il paziente non è donatore, si interrompono le procedure intensive e si permette il decorso naturale verso l’arresto cardiaco.

Detto ciò, durante l’intervento di prelievo degli organi è effettivamente possibile assistere a un aumento della pressione sanguigna, ma vi chiedo di mettere in pausa la spiegazione per qualche paragrafo.

I movimenti difensivi dei donatori, che stanno per essere operati, sono chiamati “Lazzaro-Reflex”.
Anche i riflessi di Lazzaro sono segno che il morto cerebrale non è morto: quale morto è in grado di alzarsi e circondare l’assistente operativo?

Fra i riflessi osservati nello studio citato prima ci sono quelli di estensione e rotazione degli arti superiori, la contrazione riflessa dei muscoli addominali e il anche il “segno di Lazzaro” che però è un movimento specifico: consiste nel portare le braccia sul petto, a volte incrociandole, in risposta a uno stimolo.
(Solo una postilla perché avevo detto che avrei sorvolato sulla traduzione, ma cosa dovrebbe essere un “assistente operativo”? In Italia, in ambito medico, non esiste nessuna figura con un nome anche solo simile.)

I medici dicono di questi gesti e movimenti che si tratta di riflessi muscolari involontari: riflessi spinali innescati dal midollo spinale.

Sì, come abbiamo già visto: in seguito a uno stimolo periferico, parte un segnale che entra nel midollo ed esce di nuovo, attivando un muscolo.

…tali riflessi muscolari involontari sono probabilmente possibili solo in qualcuno vivo, e non in qualcuno morto.

No, non secondo la definizione di morte che ormai conosciamo.
La scienza insegna che i muscoli possono contrarsi anche dopo la morte se stimolati correttamente, perché non necessitano dell’encefalo. Per chi non la conoscesse, è molto interessante a riguardo la storia di Luigi Galvani, scienziato bolognese che scoprì l’elettricità biologica, accorgendosi che “dando la scossa” ai nervi delle rane dissezionate (PIANGO, sono i miei animali preferiti) se ne contraevano i muscoli.

Un giovane anestesista era presente per la prima volta in un intervento chirurgico dove sono stati estratti organi. All’inizio dell’operazione, il suo capo, anestesista, gli ha dato le istruzioni per iniziare la somministrazione dell’anestesia. Il giovane anestesista ha reagito sorpreso: “Non è necessario, dopotutto è morto? ” Non faremo l’anestesia a qualcuno che è morto? “La sua faccia si volse verso un volto quasi vizioso, e lei gli lanciò una sola frase: “Come fai a saperlo per certo? “Poi il giovane anestesista rimase sbalordito.

Un’altra storia senza alcuna prova, senza possibilità di verifica, probabilmente mai accaduta ma che ha un forte impatto emotivo grazie a uno storytelling studiato appositamente per raggiungere questo scopo [la traduzione, invece, l’ha fatta una rana dissezionata ndNoemiSr]. Questa gente sfrutta quelle che sono paure abbastanza primordiali che ci accomunano tutti, e secondo me è giusto sottolineare la bassezza di questo tipo di comunicazione.

In questo contesto, Ger Lodewick pone l’unica domanda…

Ho trovato relativamente poco su di lui, cittadino dei Paesi Bassi. Anche lui, dalle mie ricerche, non sembra essere un medico, ma si definisce “ambasciatore per la donazione d’organi”. In trent’anni risulta aver scritto cinque libri, di cui uno sul cristianesimo, uno su come curare il cancro da soli e tre contro la donazione d’organi, fra cui “Cosa c’è da sapere sulla donazione di organi”.

Nel libro sostiene tesi simili a quelle del post, sempre con toni molto sensazionalistici: “Ci rendiamo conto di cosa ci succede quando i nostri organi vengono rimossi sul tavolo operatorio senza anestesia, mentre siamo ancora vivi?”
Queste persone fanno danni incalcolabili portando avanti teorie senza fondamento che minano la fiducia nei sistemi sanitari e nei medici.

Nelle linee guida della Fondazione tedesca per il trapianto di organi (DSO) – la fondazione che regola la donazione di organi in Germania – afferma che l’anestesia non è necessaria per escludere la coscienza del donatore di organi e per evitare reazioni dolori. Tuttavia, visto il riflesso di Lazzaro, è comunque ragionevole calmare il donatore di organi con mezzi adeguati (come gli oppiacei) o rilassarsi (,,relax” è nel testo tedesco).
Inoltre, è così che dice nel testo tedesco- ha senso. con questi oppiacei per prevenire un aumento della pressione sanguigna e della frequenza cardiaca.

Qui mi ricollego alla spiegazione in sospeso sul perché in una persona morta possa esserci un aumento della pressione sanguigna.
Il sistema nervoso autonomo, che gestisce fra le altre cose la pressione sanguigna, non è controllato dall’encefalo ma da una parte di midollo spinale. Quando in periferia i recettori del dolore si attivano, lo stimolo entra nel midollo spinale e sale fino all’encefalo per renderci consapevoli del dolore.
Durante il tragitto però attiva anche il sistema nervoso autonomo simpatico, quello responsabile della cosiddetta reazione “combatti o fuggi”, ed è lui a causare l’aumento della frequenza cardiaca e della pressione.
Un altro riflesso attivato dallo stimolo doloroso appena entra nel midollo spinale è quello che fa contrarre i muscoli nella zona da cui è originato il dolore. Si tratta di una risposta difensiva, quella che ci fa togliere la mano dalla pentola bollente prima ancora di sentire il dolore. In tutto questo processo l’encefalo non interviene.

Come scritto anche nel post, nelle linee guida della DSO si afferma che “l’anestesia generale non è indicata, poiché la funzione cerebrale è irreversibilmente estinta” e che “La somministrazione di oppiacei può essere indicata per prevenire le reazioni cardiocircolatorie.”
Questo fa riferimento a una componente specifica dell’anestesia generale, che si compone infatti di più farmaci:

  • anestetici, per far perdere conoscenza al paziente e mantenerlo incosciente durante l’intervento
  • miorilassanti, per evitare quel riflesso di contrazione muscolare appena citato
  • analgesici, perché anche se non percepiamo il dolore avvengono comunque tutte quelle risposte di aumento della pressione e della frequenza cardiaca date dal sistema nervoso autonomo.

Ovviamente solo gli ultimi due sono necessari in un intervento di prelievo degli organi; e no, questo non significa che la persona sia ancora viva.

Pertanto, sempre più persone sono convinte che il momento in cui viene determinata la morte cerebrale non sia il momento della morte, ma un momento o una fase del processo di morte.

Se vogliamo proprio essere pignoli questo è scorretto se si considera la definizione giuridica di morte, ma corretto se si considera quella biologica, che avviene quando l’ultima cellula del nostro organismo muore.
Bisogna però notare che non sarebbe possibile registrare quel momento, e che non vi è alcun “vantaggio” per la persona morta, nessuna garanzia in più. Al contrario, implicherebbe la totale impossibilità del prelievo d’organi da donatore cadavere, perché un organo morto non è ovviamente trapiantabile.

Ma la morte cerebrale non è morta! […]
Se i reni non funzionano, non diciamo che la persona in questione è “morto renale”, ma unitevi a lui alla dialisi!
Quando il nostro cervello non funziona più, è malato – come i reni – ma non è morto! Pertanto, è anche possibile che le persone descritte come “morti cerebrali” si risvegliano e tornino in sé.

Qui devo per forza parlare della traduzione. Leggendo il post inglese, una traduzione migliore sarebbe “ma un morto cerebrale non è morto” e “ma portatelo in dialisi”.
Se i reni o il cervello smettono di funzionare in maniera definitiva non c’è modo di guarirli. La dialisi non serve a curare i reni, ma a sostituirne la funzione in attesa (auspicabilmente) di un trapianto.
Non abbiamo qualcosa di analogo per l’encefalo, quindi non capisco davvero come questo punto dovrebbe sostenere la loro argomentazione. Esattamente come i reni di una persona con insufficienza renale cronica non riprenderanno magicamente a funzionare, l’encefalo di una persona morta è “spento” per sempre, non può “tornare in sé”.

…un medico di spicco del DSO afferma: “È infatti impossibile dimostrare che qualcuno che è stato dichiarato morto cerebrale non abbia più un senso di percezione – quindi non sappiamo nemmeno se possa provare dolore o meno.”

Un’affermazione del genere senza fonti è assolutamente inutile perché non verificabile. E soprattutto, bisogna vedere se questa opinione ha una validità all’interno della comunità scientifica (piccolo spoiler: no, ma per la spiegazione più elaborata vi chiedo qualche riga di pazienza).
Non ho trovato alcuna fonte ufficiale che confermi questa citazione, che ho trovato riportata solo in copie di questo stesso post.

… non siamo più in grado di vedere e/o sperimentare che tutto il processo di morte ha senso! E infatti ogni singola parte di questo processo: tutta l’esperienza è necessaria per raggiungere una buona transizione.
Il nostro processo di morte è un processo di nascita. Questo è ciò per cui sta combattendo. per liberarsi del vecchio mondo terreno per entrare liberamente nel nuovo mondo.

Qui arriviamo a oltrepassare i confini di ciò che è medico per affacciarci su ciò che è fede o religione.
Non è il mio campo e non è qualcosa che tratterò in questo articolo. Mi limito a rimandare alle F.A.Q. di AIDO che ricordano come…

La Chiesa Cattolica ha sottolineato in molte occasioni che la donazione degli organi è un atto supremo di generosità, carità e amore. Altre religioni, fra cui quella Ebraica, Islamica e dei Testimoni di Geova non pongono nessuno ostacolo alla donazione e al trapianto.

CONCLUSIONI?

So che molte persone sono piuttosto spaventate dal concetto di “morte secondo criteri cerebrali”.
E se per caso io sono ancora vivo e semplicemente non posso muovermi? E se per caso sento ancora qualcosa? Come fanno a essere sicuri?
Rassicurazioni sul fatto che l’accertamento segua procedure rigorose spero di averle date nello scorso articolo, ma immagino che qualcuno abbia dei dubbi sul concetto stesso di “morte a cuore battente”, dubbi simili a quelli riassunti anche da una frase del post.

Quindi non è giusto affermare che una persona è morta se il suo cervello non funziona – quella persona ha ancora una coscienza (più alta)

Mi limiterò qui a parlare da un punto di vista strettamente medico, per quanto la frase sopra possa essere interpretata come un riferimento all’anima.

Dal momento che la paura spesso nasce dalla mancata comprensione, credo che potrebbe essere utile un piccolo approfondimento.
La coscienza in medicina s’identifica come la somma di due componenti indipendenti: la consapevolezza e la veglia.
La consapevolezza è la capacità di percepire e comprendere l’ambiente e noi stessi, in maniera cosciente appunto; richiede l’elaborazione delle informazioni che viene svolta dalla corteccia cerebrale. Tutto ciò di cui ci accorgiamo deve per forza raggiungere la corteccia.
Per quanto possa sembrare strano, la veglia invece è qualcosa di indipendente dalla nostra volontà, completamente a carico del tronco encefalico (e del diencefalo, per essere precisi). Si tratta di una serie di movimenti e reazioni involontarie, come l’apertura degli occhi quando è giorno e la chiusura quando è sera, che creano il ritmo sonno-veglia. Sappiamo che questo è indipendente dalla consapevolezza perché le persone in stato vegetativo presentano il ritmo sonno-veglia, avendo un tronco encefalico funzionante, ma non hanno alcuna consapevolezza di sé e dell’ambiente perché la corteccia è danneggiata.

Questo come ci aiuta?
In tutti i casi in cui c’è un sospetto di morte cerebrale la veglia non è presente.
Rimane quindi da capire se rimanga una parte di consapevolezza.
Perché noi diventiamo “consapevoli” di qualcosa è necessario che la corteccia funzioni.
Inoltre la corteccia è la parte “più alta” del nostro sistema nervoso centrale. Come abbiamo già detto la volta scorsa, se i riflessi del tronco encefalico sono assenti, tutto ciò che sta sopra ha smesso di funzionare e quindi sicuramente tutte le funzioni nobili dell’encefalo sono perse per sempre. Non c’è percezione, non c’è coscienza. Quello che rimane semmai, come abbiamo visto, sono le funzioni “più basse”: i riflessi.

Sono fermamente convinta che la scelta riguardo alla donazione d’organi debba essere fatta in maniera consapevole e informata. Diventa importante quindi spiegare questi argomenti, anche se possono essere sembrare molto tecnici.

Il problema è che sono davvero tecnici: per rassicurare qualcuno e spiegargli bene come funziona bisogna mettere in campo conoscenze di neuroanatomia, neurofisiologia, anestesiologia… Diventa un compito arduo far comprendere bene questi concetti dovendo anche fornire le basi per quella comprensione, al contempo senza diventare troppo prolissi. Credo che questo dimostri bene perché i medici per fare il loro lavoro studiano 6 anni e poi altri 4-5 circa: perché le nostre conoscenze sono progredite a tal punto che servono basi molto ampie per poter comprendere ciò che si fa.

Non è qualcosa che si possa chiedere a tutti di fare, ma penso che sia importante fornire gli strumenti essenziali nel momento in cui queste decisioni, all’apparenza tecniche, riguardano tutti noi in maniera così “vicina”.
Uno studio interessante in cui mi sono imbattuta sottolineava come ci sia ancora molta confusione da parte del grande pubblico. Nonostante la definizione di “morte cerebrale” risalga al 1968 facciamo ancora fatica ad accettare l’idea che qualcuno sia morto anche se la sua pelle è calda e il suo cuore batte

Penso che questa confusione vada combattuta con la conoscenza, che dà alle persone gli strumenti per trovare rassicurazioni e fare una scelta non basata sulla paura.
Per questo penso che la disinformazione su questo tema sia qualcosa da affrontare. Non tanto per chi è convinto che i medici siano macellai sotto mentite spoglie, ma per chi si fida della classe medica ma non ha avuto mai modo di fare domande e quindi può beneficiare di qualche risposta.
Spero che questo articolo aiuti a fare chiarezza.

NP

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