Attualmente Ebola: 25 agosto 2014

 

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Buongiorno.
Oggi non voglio aggiornare sull’epidemia di Ebola, ma compiere un salto indietro a quelle che si pensa siano le origini, per pensare poi al futuro della medicina in queste aree.
I primi casi di infezione sono stati segnalati in Guinea in febbraio. Il 25 marzo 2014, il ministro della salute della Guinea ha informato ufficialmente il WHO della diffusione di una epidemia di Ebola. Successivamente, il 29 marzo, si sono registrati i primi casi in Liberia. I primi casi ufficiali registrati in Sierra Leone risalgono al 27 maggio, nel distretto di Kailahun. Arriviamo infine al 22 luglio con il primo caso registrato in Nigeria.
Risalendo lungo il fiume di casi, si è scoperto che il paziente zero è stato un bambino di 2 anni deceduto il 6 dicembre 2013. Si ipotizza che la trasmissione sia avvenuta tramite ingestione di frutta contaminata da pipistrelli della frutta, un serbatoio animale del virus Ebola.
Il bambino era originario di un villaggio una città chiamata Guéckédou, situato nella zona est della Guinea presso il confine del paese fra Sierra Leone e Liberia. Proprio questa sua particolare posizione ha reso possibile una così veloce espansione dell’epidemia nei due paesi confinanti. A pochi chilometri da questo centro si trova Sokoma, in Sierra Leone, piccolo villaggio situato nei pressi del fiume Moa.
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Stando alle dichiarazioni rilasciate all’AFP da Mohamed Vandi, alto funzionario medico del distretto di Kenema, (Sierra Leone), qui risiedeva una guaritrice che dichiarava di possedere i poteri per combattere l’Ebola. Molti malati avrebbero varcato la frontiera per recarsi presso il villaggio. Dopo poco tempo, anche la guaritrice ha contratto l’infezione ed è deceduta, contagiando nel frattempo circa 365 persone.
Tra le persone infette, si pensa che alcune di esse si erano recate dalla guaritrice per altre cause, e che successivamente abbiano diffuso l’epidemia tornando nei loro villaggi e città di origine. È probabile che una delle maggiori cause di contagio siano stati i numerosi funerali delle persone decedute per l’infezione, creando un circolo vizioso.
Ricordiamo che il corpo di un infetto di Ebola continua a essere un serbatoio del virus e il contatto con i suoi liquidi porta alla trasmissione della malattia.
Al momento, tutti gli sforzi internazionali sono concentrati nel tentativo di contenere l’epidemia e di curare le persone infette. Si può tuttavia ricavare, ancora una volta, una lezione generale da mettere in pratica in futuro. Le persone ammalate cercheranno sempre una cura, e troveranno sempre qualcuno disposto a promettergliela in buona o cattiva fede. La ricetta, per evitare che si ripeta un fatto analogo a quello di Sokoma, si basa sicuramente su una capillare istruzione della popolazione. Questo richiede però grandi sforzi e tempo, oltre che strutture e personale qualificato.
È noto che i sistemi sanitari nelle regione interessate dell’epidemia siano molto carenti, ed è ancora molto alto il numero di persone che si recano dai guaritori in cerca di un aiuto. Senza lasciarsi andare a elucubrazioni fuorvianti, credo che sia questo il caso di riflettere su un possibile incontro tra la medicina moderna e la medicina tradizionale.

È possibile riuscire a conciliare il carisma di questi guaritori con le conoscenze necessarie a evitare che un fatto del genere possa di nuovo accadere?

Certamente può suonare come una stortura, ma si potrebbe pensare di creare una fusione tra i riti e le procedure mediche. Da un lato, la popolazione diffida della medicina occidentale. Dall’altro, quella tradizionale non ha capacità funzionali di operare oltre la possibilità dell’effetto placebo. Potrebbe essere una soluzione temporanea, atta ad avvicinare fasce di popolazione dalla bassa istruzione. Gli effetti potrebbero rientrare in un’ottica di miglioramento della condizione sanitaria pubblica, uno dei fattori principali per lo sviluppo e l’evoluzione di un paese. Potrebbe essere un momento di passaggio, successivamente abbandonato con la venuta di generazioni con un maggiore livello scolastico.

Non esiste il rischio di creare una religione della medicina?

Certamente questo può essere un risvolto negativo che deve essere evitato. Si deve prima comprendere la cultura del luogo nonché i meccanismi sociali ed economici dietro il mondo dei guaritori.

Il lavoro non si presenta semplice. I due sistemi medici sono quasi in antitesi tra loro: questo si può vedere oggi anche nei paesi sviluppati, dove si osserva una generale sfiducia nei confronti della medicina ufficiale. Questo porta a gravi effetti collaterali, dovuti all’aderenza a pratiche e terapie che possono gravemente danneggiare l’individuo.
La medicina moderna ha davanti a sé molte grandi sfide. Fra queste, trovo fondamentale la capacità di riscoprirsi umana. Non serve a nulla produrre antibiotici quando la popolazione non li vuole usare; un trattamento chemioterapico risulta inefficace se viene abbandonato per terapie alternative.
Una possibile soluzione risiede, come già accennato, in una conoscenza più diffusa. Bisogna investire nella divulgazione: le persone devono arrivare a fidarsi della medicina perché la capiscono, la comprendono e non la temono. Ogni persona ha un corpo, una mente; una base di conoscenza può essere utile quanto conoscere il motore della propria macchina prima di attraversare il deserto.
Sicuramente l’informazione su Internet non sta aiutando, ma noi siamo sempre qua cercando di portare un po’ di chiarezza sui temi che angosciano l’opinione pubblica.

“Il sonno della ragione genera mostri.”

— F. Goya

PA