Quello che l’opinione pubblica non considera quando si parla di grano italiano ed estero
Sfatiamo le leggende urbane sulla pasta
Sono anni che vediamo sostenere da tanti personaggi mediatici e politici la bontà del grano italiano rispetto ai grani provenienti da altri Paesi. Anni in cui abbiamo assistito ad accese battaglie per la difesa del prodotto nazionale. Anni in cui purtroppo non abbiamo visto sufficiente chiarezza da parte degli organi di stampa più tradizionali.
Per questo abbiamo deciso, grazie anche all’aiuto di alcuni esperti del settore, di sfatare alcuni miti su grano e pasta. Quanto segue è stato redatto anche grazie al contributo dell’Unione Italiana Food e del produttore Divella, che hanno cortesemente risposto alle nostre domande.
Il grano duro, quello usato per fare la pasta che vediamo nei nostri supermercati, è una nicchia della produzione internazionale di frumento. Stiamo parlando del 5% della produzione totale. Il grano duro non è autoctono, ma (si ritiene che) tutto il grano duro mondiale sia originario di un’area che comprende Turchia, Siria, Iran e Iraq. Quindi il grano duro italiano in origine non è veramente italiano, ma abbiamo iniziato a coltivarlo solo dopo aver fatto scambi con altri Paesi. Noi siamo, oltre che uno dei principali produttori mondiali (siamo primi al momento, con al seguito Stati Uniti, Turchia e Brasile), anche uno dei principali consumatori, si stima infatti che ognuno di noi consumi più di 23 chili pro capite di grano duro all’anno.
Con queste premesse viene da sé tenere così tanto alla qualità della pasta che mangiamo. Il primo problema che si pone è che non produciamo grano duro a sufficienza per soddisfare il fabbisogno del Paese. Quindi importarlo è un obbligo, come ci ha spiegato la Divella quando abbiamo chiesto loro cosa significherebbe lavorare solo con grano italiano:
Obbligarci a lavorare solo con grano italiano significherebbe prima di tutto limitare l’offerta poiché l’Italia è già deficitaria per oltre il 30% rispetto al fabbisogno complessivo di grano duro. Da questo deriverebbe un ridimensionamento delle attività con perdita di occupazione e indotto. Poi tradiremmo una tradizione lunga 130 anni. Sin dal principio delle sue attività molitorie e pastarie, la Divella ha utilizzato i migliori grani provenienti dalle regioni italiane come dall’estero, al fine di poter offrire al consumatore un prodotto eccellente e dalla qualità costante nel tempo. E per concludere significherebbe tradire i consumatori anche dal punto di vista della qualità di prodotto, poiché la qualità del grano italiano non è sempre all’altezza per ottenere i requisiti di prodotto previsti dalla legge italiana.
Requisiti che vengono regolarmente controllati sia sul prodotto interno sia su quello importato. La pasta italiana, pur non essendo prodotta con solo grano italiano, è comunque considerata un’eccellenza del nostro Paese perché l’abilità dei pastai sta proprio nel miscelare le migliori qualità di grano duro, poco conta la loro provenienza.
Tutto confermato anche dall’Unione Italiana Food, che alla domanda se ci siano aziende italiane che utilizzano in maniera virtuosa grani stranieri ci ha risposto così:
Acquistiamo tutto il grano duro pastificabile italiano disponibile in Italia (circa il 70%), ma il restante 30% del nostro fabbisogno viene selezionato dall’estero. In ogni caso, italiano o estero, il grano è grano e l’industria della pasta acquista solo quello di ottima qualità e sicuro dal punto di vista sanitario. Solo i migliori frumenti disponibili sul mercato permettono di realizzare la giusta “miscela”, che è il segreto della nostra pasta.
Come alcuni di voi ricorderanno in passato (anche recente) ci è capitato di trattare notizie – che ci viene da definire populiste – che accusavano il grano estero di abbassare la qualità della nostra pasta. La qualità del prodotto è sempre alta, come ha ribadito ancora l’Unione Italiana Food:
La pasta italiana è sicura e non è vero che una minore offerta di grano equivale ad una minore qualità del prodotto. Ogni anno vengono fatte oltre 200mila analisi sulla materia prima e 600mila sul prodotto finito. I pastai italiani hanno fatto dal 1967 un patto di qualità con il consumatore, impegnandosi, per legge, a produrre pasta con solo grano duro, il migliore per garantire la proverbiale tenuta al dente. Questo ci espone alla crisi attuale più di altri competitor esteri, che magari scelgono di usare anche grano tenero, ma è uno dei fattori determinanti per garantire la qualità della nostra pasta e mantenere la leadership che il mondo ci riconosce.
redazione at butac punto it
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