Il lutto in Corea del Nord e il giornalismo italiano

L'abbiamo letto su tutte le maggiori testate negli ultimi giorni. Cerchiamo di fare chiarezza

Come far capire che il nostro giornalismo si basa sul sensazionalismo e poco più? Basta vedere come vengono riportate certe notizie. Vediamo i titoli di alcune testate:

In Corea del Nord vietato ridere per 11 giorni, pena l’arresto. “Siamo in lutto per Kim Jong-il”

Vietato per 11 giorni ridere, celebrare compleanni, bere alcol, e parlare a voce alta in pubblico in Corea del Nord: pena l’arresto. Ecco perché

Corea del Nord, vietato bere e ridere per 11 giorni: il motivo

Corea del Nord, “vietato ridere per 11 giorni”. Altrimenti Kim Jong-un ti ammazza: le “ragioni” della follia

In Corea del Nord vietato ridere per 11 giorni

Vietato ridere per 11 giorni in Corea del Nord, pena l’arresto

Nord Corea, vietato ridere e bere per 11 giorni/ Reprimere chi urta lutto Kim Jong-il

Sulle testate straniere più note una delle poche a dare la notizia è il Guardian, che però dopo un titolo simile ai nostri riporta che:

As part of the national memorial, North Koreans have reportedly been banned from showing any sign of happiness. According to Radio Free Asia‘s Korean service, restrictions include an explicit ban on laughter and alcohol during the 11-day period of mourning.

A North Korean citizen also told the news service that on the exact anniversary of Kim Jong-il’s death, 17 December, people had been banned from going grocery shopping.

I grassetti qui sopra sono miei e servono a spiegare che tutta la notizia si basa su un’unica fonte: un supposto cittadino nord coreano che avrebbe parlato (evidentemente rischiando la propria vita) con Radio Free Asia, un’emittente radiofonica finanziata dal governo americano per “promuovere i valori democratici e i diritti umani” e “contrastare la  narrativa del Partito Comunista Cinese”. Non proprio una “voce super partes” di cui fidarsi al 100%. Sia chiaro, non siamo qui a difendere la Corea del Nord, siamo qui a parlare di giornalismo. La notizia sul lutto di 11 giorni può essere data spiegando fin da subito la fonte, e spiegando che si tratta di una notizia non verificata e non verificabile. Questo è fare corretta informazione, questo è informare i propri lettori. Mentre invece tra le testate italiane non tutte hanno citato Radio Free Asia, e sono poche quelle che citandola hanno spiegato che si tratta di un servizio pagato dagli Stati Uniti.

Giusto per citare una critica interna al servizio, nel 1999 Catharin Dalpino (nello staff di Clinton come vice-assistente per i diritti umani), intervistata dal sito Government Executive disse di aver esaminato i copioni della trasmissioni di Radio Free Asia e di considerare i servizi mandati in onda sbilanciati:

Si basano molto sui rapporti scritti da, e costruiti su, dissidenti in esilio. Non sembrano raccontare cosa stia succedendo nel Paese. Spesso suona come un libro di testo sulla democrazia, il che va bene, ma anche per un americano è piuttosto propagandistico.

Lo sappiamo, sembra una questione di lana caprina, ma è invece di fondamentale importanza per capire come funziona il giornalismo propagandistico. Perché – se probabilmente poco cambia al lettore medio italiano sui fatti che arrivano dalla Corea del Nord – questa stessa scarsa precisione nel dare notizie la si subisce maggiormente quando si parla di notizie che arrivano dalla Palestina, da Israele e da altri scenari di guerra. Modellando i fatti alla perfezione, in modo che piacciano al lettore medio della testata che li racconta. Se più esposta a destra tenderà a minimizzare ogni notizia metta in cattiva luce la parte che viene supportata dalla destra, se esposta a sinistra farà l’opposto. Creando fazioni di estremisti a tifare per l’una o l’altra parte.

Non credo di poter aggiungere altro.

maicolengel at butac punto it

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