Le tattiche della disinformazione Vol.1

Finto consenso popolare, inondazioni, false autorità... vediamo insieme qualche informazione utile per difendersi dalla disinformazione

Oggi non parliamo di una bufala, oggi cerchiamo di analizzare alcuni degli strumenti di disinformazione più usati. Nell’ottica di cercare di dare gli strumenti ai lettori per difendersi da soli dalla massa di disinformazione che subiamo ogni giorno, l’unica via è tentare di condividere con voi materiale che possa essere utile, e non solo fact-checking già pronti.

Chi disinforma lo fa seguendo percorsi, narrazioni e tattiche che noi, che li analizziamo e studiamo da anni, ormai riconosciamo da lontano, ma che l’utente che viene in contatto con la disinformazione solo saltuariamente fatica a identificare. In questo momento storico riteniamo sia di fondamentale importanza aiutare i cittadini a comprendere e a gestire i rischi portati dalla disinformazione di massa, demolendo, per quanto possibile, le narrazioni sfruttate da chi sulla disinformazione campa da anni. In quest’ottica stanno uscendo in questi giorni le prime puntate di Panico, una serie di video realizzati su YouTube dal nostro AnDREAM proprio per spiegare le tecniche di comunicazione più utili da conoscere per affrontare l’information disorder, nella nostra personale interpretazione del concetto di prebunking.

I finti esperti/siti

Una tattica abbondantemente sfruttata durante la pandemia, ripresa poi con la guerra in Ucraina, è quella di creare profili di soggetti che abbiano ruoli apparentemente istituzionali, come anche siti che sembrino rappresentare organizzazioni e realtà internazionali. Sia chiaro, non stiamo parlando di cloni di siti ufficiali, facilmente verificabili con una semplice ricerca su Google per verificare la corrispondenza. Ma soggetti e siti dai nomi altisonanti che sembrino rappresentare autorità di qualche genere. Per farvi un esempio possiamo citare Alicia Erazo, che su Twitter si presenta come:

Ambasciatrice per i Diritti Umani – Italia, Alto Commissario Internazionale per i Diritti Umani CIDHU, Global Democracy Award 2017 Washington DC

Ma come abbiamo mostrato qui su BUTAC anni fa, la CIDHU è una finta organizzazione di nessun peso o autorevolezza, nata apposta per poter esser usata come credenziale da soggetti come Erazo. Sempre in questo contesto potremmo parlare di quel medico che qualcuno sostiene abbia ricevuto un premio come miglior virologo al mondo, ma eviteremo di citarlo visto che sono tre anni che ci ha querelato e a furia di rinvii sembra che finalmente quest’anno andremo a dibattere. Fateci caso, nella maggior parte dei casi ogni volta che serve un nuovo esperto i diffusori di disinformazione tirano fuori nuovi nomi dal cappello, evitando quelli già screditati in passato. Questo genera nel pubblico a casa la convinzione che ci sia uno stuolo di esperti a sostegno delle tesi disinformative, purtroppo quando poi si va ad approfondire ci si accorge che la ricercatrice spacciata come esperta virologa è una sistemista informatica. Non c’è una regola su come difendersi, ma se sentite nominare un esperto di cui fino a oggi non avevate mai sentito il nome il suggerimento è sempre quello di fare un po’ di verifiche sul suo background. Lo stesso dicasi per i siti, quando venite rimandati su un sito che fino a oggi non avevate mai visto o letto sarebbe il caso fare due verifiche prima di condividerne i contenuti. Perlomeno per capire se è un sito nato da poco, se è trasparente verso chi siano i suoi gestori ecc ecc. Un primo passo, ad esempio, è verificarli con Who Is Lookup.

Il flooding di informazioni (false o manipolate)

Questa è una delle tattiche che vediamo usare sistematicamente dai canali di disinformazione social, specie in quelli basati sulla messaggistica istantanea come Telegram, molto in voga tra chi diffonde disinformazione per evitare la censura dei social network più conosciuti e sotto controllo come Facebook, YouTube o Twitter.

Il flooding potremmo tradurlo con il termine inondazione, ed è quel sistema per cui appunto si inonda un canale di contenuti, senza mai fermarsi, a ciclo continuo. Se su BUTAC pubblichiamo solitamente due articoli al giorno per cinque giorni a settimana, chi fa disinformazione in una giornata sui propri canali social fa almeno dieci post, se non di più. Senza stare a contare giorno per giorno vi faccio un esempio pratico: un canale Telegram, che si chiama MikaYoutubers, 9200 follower, dal 31 gennaio ad oggi (23 febbraio) ha pubblicato 851 post, circa 37 al giorno. Uno dei canali dei “Guerrieri V_V”, poco più di 17mila follower, tra il 20 e il 22 febbraio ha pubblicato 111 post, e ognuno riportava notizie simili se non identiche, ma da fonti diverse, fonti che spesso ricadono nella categoria precedente, quella dei siti creati apposta per diffondere specifiche narrazioni.

Questo sistema rende impossibile verificare alcunché per l’utente che segue, e vedere così tanti post che riportano le stesse cose lo convince che sia qualcosa di noto e verificato. Così facendo l’utente, smarrito, si convince che l’opinione pubblica la pensa in un determinato modo, e si allinea a quella narrazione anche per non venire isolato da quelli che ritiene amici o “compagni di battaglie”. Il flooding di informazioni false o manipolate è usato anche da chi fa lobbismo, basti pensare alla campagna in difesa del vino mossa da Coldiretti nelle scorse settimane: per quindici giorni sono stati ospiti in qualsiasi trasmissione televisiva e avevano inviato più comunicati stampa a tutte le testate giornalistiche italiane, raggiungendo alla perfezione il proprio scopo. La maggior parte dei cittadini è rimasta convinta che il consumo moderato di vino possa avere effetti benefici sulla nostra salute, ma è una bugia.

L’Astroturfing

E veniamo all’ultima delle tattiche che vogliamo riassumere oggi, strettamente collegata all’inondazione di notizie. Wikipedia ce la racconta così:

Astroturfing è un termine coniato negli Stati Uniti intorno alla metà degli anni ottanta del XX secolo per definire una tecnica di propaganda nell’ambito del marketing, consistente nella creazione a tavolino di un supposto consenso proveniente dal basso, della memoria o della storia pregressa di un’idea, un prodotto o comunque qualsiasi bene oggetto di promozione (bene di consumo, candidato alle elezioni, etc.). La tecnica di astroturfing si affida spesso a persone retribuite con modalità non trasparenti, affinché esse producano artificialmente un’aura positiva intorno al bene da promuovere.

Siamo di fronte a un sistema usato a lungo tempo in campo pubblicitario: si stima ad esempio che a causa dell’astroturfing un terzo delle recensioni che troviamo in rete siano fasulle. Nel 1993 uscì un articolo sul New York Times (qui citato dall’Huffington Post americano) che spiegava come, per colpa di questa pratica:

…è diventato difficile distinguere tra opinione pubblica fabbricata e autentiche espressioni del sentimento popolare.

Quindi abbiamo squadroni di soggetti che sono spesso pagati (ma non solo) per diffondere messaggi che possano attecchire in chi li legge, un tempo l’oggetto da abbellire era un marchio o uno specifico prodotto, oggi sono idee e notizie di vario genere, che necessitano di un’opinione pubblica favorevole per poter diffondere meglio il messaggio fuorviante. Spesso a fare astroturfing troviamo gruppi che danno a intendere di essere al servizio del pubblico interesse, quando invece alle spalle hanno specifici brand o, peggio, partiti politici – per non parlare di quando sono guidati da potenze straniere. Esiste moltissima letteratura scientifica che ha studiato il fenomeno, senza però che ci siano specifiche indicazioni su come sia possibile difendersi. Il nostro suggerimento è sempre quello di approfondire su canali autorevoli e noti, e comunque evitare la condivisione quando non siamo sicuri al 100% della sua validità.

Per oggi è tutto, ma vi aspettiamo con la seconda puntata la settimana prossima.

maicolengel at butac punto it

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