Troppa trippa, parte 2

TROPPATRIPPA

Il servizio di Report “Troppa trippa” ha definitivamente sancito la fine del mio già scarno rapporto sia con il giornalismo sia con la televisione italiana. Era uno di quei servizi montati a regola d’arte, estrapolando, come è già stato fatto notare, solo le frasi utili alla propria causa: far passare i proprietari di cani e gatti come dei coglioni che si fanno imbambolare dalla pubblicità, dalla confezione, dal veterinario colluso con le multinazionali. Proprietari che, secondo l’esperta mondiale di alimentazione animale e di produzione mangimistica, invece di nutrire amorevolmente il proprio cane/gatto lo avvelenano giorno dopo giorno. Vi prego, approfondite in maniera decente l’argomento trattato. – Grazie e BAU da parte di XXX e di YYY.

Questo il messaggio giuntoci da un follower e dal suo amico a 4 zampe.

Il baillamme causato da Report e dal nostro successivo pezzo ci ha spinto ad andare più a fondo sull’argomento, scoprendo così che non siamo i soli a pensare che il servizio di Report fosse davvero malfatto. A riprova di ciò qui potete trovare il comunicato della FNOVI (Federazione Nazionale Ordine Veterinari Italiani).

Il professor Giacomo Biagi, intervistato da Report nel servizio in questione a noi ha detto:

“Hanno tagliato tutto quello che non era funzionale al loro progetto di demolire le aziende. Praticamente hanno tagliato tutto! Mi avevano intervistato per 2 ore”.

Per chi volesse ulteriormente approfondire la posizione delle aziende tirate direttamente in causa da questo servizio-inchiesta è sufficiente cercare il loro sito su google e sicuramente troverete pane per i vostri denti e crocchette per i vostri amici pelosi.

Quanto segue è un riassunto della complicata legislazione che regola il settore della produzione mangimistica, petfood incluso ovviamente, dall’etichettatura al piano di controlli nazionale. Sarà un articolo noioso per la maggior pare di voi come sicuramente lo sarà per la psicologa e giornalista Sabrina Giannini, esperta di fama mondiale sia dell’alimentazione animale sia di come si produce il petfood.

Si comincia dalle materie prime.

SABRINA GIANNINI: Anche perché sarebbero nutriti con i nostri cereali che vengono scartati quando superano il limite pericoloso di micotossine. Scartati però non significa eliminati dal mercato o buttati in discarica, c’è un’industria che può riciclarli, che non ha limiti da rispettare quindi li può anche acquistare a prezzi di saldo e metterli nell’umido e nelle crocchette…

oh poffarbacco… mi giunge nuova la notizia che l’industria del petfood non abbia limiti da rispettare.

La Dir. 2002/32 CE relativa alle sostanze indesiderabili nell’alimentazione degli animali prevede che le materie prime per mangimi (quindi i cereali scartati secondo la Giannini) abbiamo un tenore massimo di aflatossina B1 pari a 0.02 ppm che si riduce a 0.01 ppm nel mangime finito.  E’ vero che per alcune micotossine non esistono regolamenti che impongano un limite massimo, ma solo delle raccomandazioni. E’ altresì vero che IN ALCUNI CASI cani e gatti non hanno un limite a loro dedicato. Questo, nel bene e nel male è una pecca della normativa europea; normativa che però è sempre in costante evoluzione e, nel caso dei mangimi volta non solo a tutelare la salute degli animali ma anche quella del consumatore finale: l’uomo.

Guardando il servizio dovrebbe sorgere spontanea un domanda. Perché, se la ricercatrice Annie Leszkowicz, esperta nel campo delle micotossine per il ministero della Ricerca francese e docente di ingegneria chimica all’Università di Tolosa  ha trovato livelli preoccupanti di micotossine nelle crocchette (livelli che hanno causato malessere e decessi tra i cani) non ha avvertito le autorità e attivato il RASFF? Il RASFF viene attivato anche per sostanze che non sono strettamente regolamentate. Certo  in questo caso non sarebbe partita un’allerta ma magari una “information for attention” o una “information for follow up”. E invece le uniche note riguardanti il petfood, e in particolare i prodotti secchi, emanate dalla Francia  sono questa  e questa. Eppure è possibile mettere in moto il sistema anche per sostanze non regolamentate, addirittura l’attivazione del RASFF possono partire anche da segnalazioni di consumatori alle autorità.

Sempre rimanendo sulle materie prime, in un precedente articolo di Butac si era già parlato di cosa può e cosa non può finire sia nella scatoletta sia nella crocchetta e anche di come viene prodotta una scatoletta. Invito tutti a leggerlo. Come vi invito anche a leggere cosa si può e cosa non si può dichiarare in etichetta, soprattutto nella composizione.
Per quanto riguarda l’acqua il Reg. CE 767/2009 parla chiaro: (consideranda 6)

A differenza dei prodotti alimentari quali definiti nel regolamento (CE) n. 178/2002, la definizione di mangime non include l’acqua. Inoltre, visto che l’acqua non è commercializzata a fini di alimentazione animale, il presente regolamento non dovrebbe prevedere norme relative alle condizioni dell’acqua usata nell’alimentazione animale

e ancora (art. 2 c. 3)

Il presente regolamento non si applica all’acqua, né assunta direttamente dagli animali né aggiunta intenzionalmente ai mangimi loro destinati

Quindi, cara  Giannini, siccome l’acqua non è considerata un ingrediente e nemmeno una materia prima non si può e non si deve dichiararla in etichetta. Ed è normale che una scatoletta contenga dal 75% all’85% di umidità. Questo non vuol dire che il 75% della scatoletta è acqua. Prendiamo un’etichetta a caso:

etk

L’umidità del prodotto è 83%. Ovviamente non vuol dire che dentro quella scatoletta ci sia l’83% di acqua. Altrimenti non potrei avere il 48% di tonno o il 49% di salmone. L’acqua ad esempio per il salmone & bianchetti è circa il 49%, la stessa quantità del salmone. Quindi tra umidità e quantità di acqua non vi è alcuna correlazione.

Passiamo  agli additivi. Giannini a un certo punto dice:

In effetti, le confezioni sono così occupate da scritte inutili, fuorvianti, anche al limite dell’ingannevolezza che manca spazio per quelle più importanti, per esempio la specifica dei conservanti e antiossidanti chimici, proprio quelli che possono insospettire. Il regolamento europeo prescrive soltanto che le aziende a domanda rispondano.

No cara. Tu il regolamento proprio non lo hai letto. Quanto tu citi è vero, peccato che sia l’art. 19 del Reg. CE 767/2009:

Prescrizioni obbligatorie aggiuntive in materia di etichettatura degli alimenti per animali da compagnia. Sull’etichetta degli alimenti per animali da compagnia sono indicati un numero di telefono gratuito o altri mezzi di comunicazione idonei a consentire all’acquirente di ottenere altre informazioni, oltre a quelle obbligatorie, riguardo: a) agli additivi per mangimi contenuti nell’alimento;

e che tu non abbia letto l’art. 15

Prescrizioni obbligatorie generali in materia di etichettatura

Le materie prime per mangimi o i mangimi composti sono immessi sul mercato solo se nell’ambito dell’etichettatura sono fornite le seguenti indicazioni: […]

f) l’elenco degli additivi per mangimi preceduti dalla dicitura «additivi» conformemente al capo I dell’allegato VI o VII, a seconda del caso, e fatte salve le norme in materia di etichettatura stabilite dall’atto giuridico che autorizza l’uso dell’additivo per mangimi corrispondente; e[…]

Non credo serva aggiungere altro.

 Ci sono additivi che devono essere dichiarati e additivi che possono non essere dichiarati. Possono non essere dichiarati in etichetta gli additivi che non hanno limiti per nessuna specie. Devo invece dichiarare gli additivi che hanno dei limiti anche se in specie diverse da quelle a cui li sto destinando. E questo lo stabilisce sempre il Reg. CE 767/2009, allegato VII:

Indicazioni di etichettatura delle materie prime per mangimi e dei mangimi composti per animali non destinati alla produzione di alimenti

 1. Il nome specifico dell’additivo definito nel relativo atto giuridico che autorizza l’additivo per mangimi interessato e/o il suo numero d’identificazione, la quantità aggiunta ed il nome del gruppo funzionale al quale esso appartiene conformemente all’allegato I del regolamento (CE) n. 1831/2003 o della categoria di cui all’articolo 6, paragrafo 1, del succitato regolamento, sono indicati per i seguenti additivi:
a) additivi per i quali è fissato un tenore massimo per qualsiasi tipo di specie bersaglio;
b)[…];
c) […]
2. In deroga al paragrafo 1, nel caso degli additivi dei gruppi funzionali «conservanti», «antiossidanti» e «coloranti» di cui all’allegato I del regolamento (CE) n. 1831/2003, occorre indicare unicamente il gruppo funzionale afferente. In tal caso, la persona responsabile dell’etichettatura deve comunicare all’acquirente, su richiesta di quest’ultimo, le informazioni di cui al paragrafo 1.
[…]
6. Se un additivo per mangimi organolettico o nutrizionale di cui all’allegato I del regolamento (CE) n. 1831/2003 è indicato su base volontaria, va specificata la sua quantità aggiunta.
7. Se un additivo fa parte di più gruppi funzionali, si indica il gruppo funzionale o la categoria corrispondente alla sua funzione principale per quanto attiene al mangime in questione. […].

E anche qua credo non serva altro. BHA e BHT secondo la Comunicazione della Commissione (2004/C 50/01) sono classificati come antiossidanti (quindi in etichetta posso trovare la generica dicitura “antiossidanti”) e sono autorizzati per un periodo illimitato perché ritenuti non pericolosi. Se aggiunti devono essere dichiarati perché hanno dei limiti massimi di inclusione nella specie “cane” pari a 150 ppm/kg (da soli o accoppiati), ma, come detto prima possono essere dichiarati genericamente come “antiossidanti”, lasciando il servizio consumatori il dovere di informare più nel dettaglio.

Altri additivi, come giustamente è stato fatto notare, vengono aggiunti per rendere l’alimento nutrizionalmente completo e perché con i processi di lavorazione numerose sostanze, soprattutto vitamine termolabili, vengono perse. Del resto cani e gatti, proprio come noi hanno bisogno di un’alimentazione completa. Noi esseri umani abbiamo la fortuna di poter assumere sali minerali e vitamine da frutta e verdura, i cani e i gatti no. Soprattutto i gatti, carnivori stretti.

Ovviamente le aziende non faranno mai entrare un estraneo nei loro reparti di produzione, soprattutto se dotato di telecamere o se in “odore di inchiesta scandalo”. In Italia esiste ancora, se non erro, la tutela del segreto industriale e in un settore come il petfood la tutela delle ricette svolge un ruolo fondamentale. Poi la maggior parte dei processi avvengono “a scatola chiusa” cioè la nostra Giannini non avrebbe potuto vedere nulla, avrebbe capito metà, forse, del processo e quella metà l’avrebbe distorta a suoi piacimento.

Un’ultima considerazione personale… Anche in questo caso vige la regola del buon senso; sia le multinazionali sia le industrie “nazionali” che vantaggi avrebbero dal “fare ammalare” il loro consumatore finale? Nessuno.

redazione at butac punto it

PS: cara Giannini, lo sai che negli USA esiste un prodotto per gatti che recita: “L’alimento che farà passare da 9 a 10 le vite del vostro gatto” o qualcosa del genere (negli USA i gatti hanno 9 vite, non 7 come da noi, i soliti esagerati…) purtroppo non ricordo come si chiama, ma ho visto la pubblicità…