Mogli avvelenatrici, bufale e Medioevo

Una storiella bizzarra per la serie “ma lo sapevate che...?”

Ci è stata inviata una segnalazione storica, per la quale sono servite qualche ricerca e un bel po’ di spirito critico. La storiella è questa:

Nel medioevo, in una città francese, le donne mettevano ogni mattina un leggero veleno nella colazione dei propri mariti,e poi quando  tornavano a casa, a tarda sera ,gli veniva dato l’antidoto , quindi questo veleno non era danno per gli esseri umani. Nel caso gli uomini non tornavano a casa perchè erano altrove e quindi l’antidoto veniva ritardato, agli uomini veniva mal di testa , nausea , mancanza di respiro , depressione ,dolore , vomito. Più l’uomo era lontano da casa e più stava male , e poi quando tornava a casa , a sua insaputa , la moglie gli dava l’antidoto e stava meglio in pochi minuti. Con questo orribile trucco, gli uomini venivano truffati, perchè immaginavano che stare lontano da casa gli provocasse dolore e depressione e quindi si affezionavano alle loro case e alle loro mogli. (SIC)

Questa specie di aneddoto sembra esser stato condiviso per la prima volta da una pagina Facebook dal non particolarmente eloquente titolo “Noi non siamo come loro”: una specie di “content farm”, cioè una pagina che condivide tonnellate di contenuti al giorno dai toni più vari. Si passa senza soluzione di continuità da notizie di attualità (come avvisi sul vaiolo delle scimmie, che sorprendentemente riportano direttamente ai siti del Ministero della Sanità) a battute che non fanno ridere, passando per i classici click-bait allarmisti.

Da lì la storiella arriva in qualche maniera su “Fenomenologia della Lingua Italiana”, una pagina di curiosità e notiziole come quella di prima ma con un nome altisonante, e poi sembra diffondersi un po’ ovunque, fino al blog Grognards2011, quello che ci è stato segnalato.

A dichiarare la storiella una bufala ci ha già pensato qualche giorno fa la pagina “Una pillola di storia antica al giorno” dell’amico Andrea Costantino De Luca (qui la diretta Instagram di qualche mese fa sul canale IG di BUTAC), che giustamente sottolinea la totale assenza di riferimenti e di fonti, e che rileva correttamente come la foto usata (un simpatico ometto che vomita sangue) provenga in realtà da un trattato di arte medica. Più precisamente, l’immagine viene dal Tacuinum Sanitatis catalogato come Codex Vindobonensis, Ser. N. 2644, f.99v. (conservato alla Nationalbibliothek di Vienna) che contiene un manoscritto databile al 1380 circa, a sua volta traduzione di un’opera araba più antica attribuita a Ibn Butlân (circa 1050).

In breve: una fregnaccia.

In versione più estesa: tra stereotipi e cultura spiccia

Senza tirarla troppo per le lunghe: gli storici sono grafomani per professione, adorano annotare cose. Nessuno storico presenterebbe questa notizia senza note e riferimenti.

Ne basterebbero in realtà assai pochi. L’essenziale è che il lettore possa capire da dove proviene la storia, cioè deve essere chiaro chi la ha raccontata e dove, o con che mezzo. Se anche l’autore avesse riportato questa storia per averla sentita da qualche parte dovrebbe dire almeno dove. Ho pensato che il post potesse essere tradotto (male) da qualche lingua straniera, ma non sono riuscito a risalire a nulla.

Leggende popolari sono spesso ambientate in un passato remoto e vago, ma chi le racconta è generalmente orgoglioso di poter tramandare qualcosa della propria terra. Qui si menziona solo “una città in Francia”. Queste mancanze rendono il tutto molto sospetto. Nessuno, del resto, si è attardato a studiare una storia tanto incredibile, possibile che i ricercatori se ne siano disinteressati?

La storiella è indubbiamente accattivante, e infatti i commenti si sprecano, tra battutine “chiedo la ricetta per una amica” e uomini che dichiarano eroicamente di prepararsi la colazione da soli (che bravi!). Tutti e tutte sembrano concordare su un punto comune: le donne sono proprio streghe, da sempre.

Dietro al facile umorismo riappare un topos letterario capace di solcare secoli di storia.

Il tema della donna avvelenatrice è ben noto nella letteratura medievale. Il veleno ha il pregio di essere difficile da identificare, ma è sempre stato anche un modo per aver ragione di qualcuno che poteva essere fisicamente più imponente, o a suo agio con la violenza.

Da arma muliebre per eccellenza, il veleno divenne il simbolo più adatto a dimostrare la natura subdola e malvagia della strega. Si noti anche la contrapposizione paradossale tra gli apotecari, uomini esperti in medicine e in veleni che scelgono di usare questo sapere per curare, e le streghe, che invece usano lo stesso sapere per nuocere. Allo stesso tempo, poiché il veleno può essere più ragionevolmente somministrato dall’interno del nucleo domestico, la donna avvelenatrice sembra “tradire” quella che è la sua missione per eccellenza, e finisce per sovvertire così l’ordine naturale delle cose[1].

Gli stessi temi tornano nel nostro aneddoto: uomini tonti, ma innocui e preda delle angherie femminili. Eppure queste donne così formidabili, intelligenti e astute, non hanno altra ambizione se non quella di tenersi ben stretti dei mariti allocchi. In fondo, la morale sembra essere “meglio sposata con tontolone piuttosto che usare questi formidabili saperi a vantaggio proprio o della comunità”. La storia delle avvelenatrici francofone è alla fin fine una baggianata abbastanza innocua, ma che volente o nolente fa sbarcare su un social network un topos letterario ed uno stereotipo vecchi di qualche secolo.

Se tante bufale simili vengono diffuse e accettate, l’immagine che abbiamo del nostro passato, e per estensione quella che abbiamo del nostro presente, rischia di distorcersi del tutto.

Lorenzo Boragno

[1] Per uno studio sul fenomeno si possono consultare le opere di Brigitte Rochelandet (https://www.brigitterochelandet.fr), oppure “Le crime de poison au Moyen Âge” di Franck Collard.


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