La disinformazione si fa in TV

Omnibus, le lobby, le trasmissioni di approfondimento e gli argomenti che ormai abbiamo imparato a conoscere molto bene: farina d'insetti, etichette sul vino, senza dimenticarsi un po' di allarmismo sulla chimica e molto altro

Quanto segue è una lunga analisi di un segmento di una trasmissione televisiva, ho scelto di farla perché vorrei mostrare a tutti come funziona la disinformazione televisiva, fatta in diretta. Ho scelto questa specifica trasmissione perché mi è capitata tra le segnalazioni, ma potevamo trattarne mille altre – tanto il modus operandi è sempre lo stesso: giornalisti che lasciano che sia l’ospite a parlare – o direttamente disinformare – senza mai controbattere con dati verificati sul momento. Non è così che si può pensare di uscire dall’information disorder.

Omnibus

Il 29 gennaio la trasmissione Omnibus ha introdotto, a trenta minuti dall’inizio, l’argomento di cui stiamo per parlare, in un segmento di puntata intitolato “L’insetto nel piatto, tutta la verità“. La giornalista Flavia Fratello è partita mostrando una foto delle tre larve di Mopane che si è mangiata durante una vacanza in Namibia. Nel farlo ha spiegato subito che il sapore non era cattivo, le ha paragonate a dei marshmallow salati. Fratello ha anche raccontato che dopo aver pubblicato quell’immagine sui social, all’interno del flame che è partito contro gli insetti come ingredienti alimentari, ha ricevuto persino delle minacce di morte.

Gli ospiti

Dopo l’introduzione all’argomento del giorno vengono presentati gli ospiti che sono stati chiamati a fare chiarezza in merito, o perlomeno così sembra dire Fratello.
In studio ci sono il senatore di Fratelli d’Italia Luca De Carlo, presidente della Commissione Agricoltura del Senato, e Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia, definito da Fratello “campione della difesa del prodotto Made in Italy”. Dall’altro lato della “barricata” ci sono l’editorialista Vitalba Azzollini e la professoressa Costanza Jucker, entomologa.
Prima viene data la parola alla professoressa, che tranquillizza sulla sicurezza del prodotto, spiegando che gli studi che sono stati fatti scongiurano rischi per la salute, se non in quei casi in soggetti che è già noto abbiano allergie di vario genere. Tutte cose che già sapevamo, ma è un bene che vengano ribadite in TV.
Subito dopo prende la parola Scordamaglia, che sostiene non essere contrario all’insetto come alimento ma a come viene presentato, ovvero sue parole: “una dieta universale per salvare il mondo”. Scordamaglia a quel punto fa quello per cui è consigliere delegato: inizia a snocciolare numeri. Il primo che viene detto sono i litri d’acqua che servono per produrre un chilo di insetti da allevamento.

Litri d’acqua…

Scordamaglia sostiene che per produrre un chilo di insetti ci vogliano 800 litri d’acqua, ma è una bugia, di quelle con le gambe corte. Basta cercare in rete per scoprire che per allevare un chilo di grilli ci vogliono 100 litri d’acqua, a fronte di una bistecca da un chilo per la quale ci vogliono circa 16mila litri d’acqua. Esiste uno studio che ci mostra quanta acqua serva per grammo edibile di vermetto della farina rispetto a quanta ne serve per polli o bovini, il confronto farebbe impallidire Scordamaglia e De Carlo.
Quindi è scorretta anche la seconda affermazione che fa, quando, sulla base di un dato sbagliato, sostiene che non è vero che chi tiene al pianeta mangi gli insetti. Fratello cerca l’obiezione sul fatto che anche i bovini siano allevati, ma senza che possa dare dato alcuno viene zittita da Scordamaglia che continua a sostenere che l’impatto ambientale dell’allevamento degli insetti sia, sue testuali parole:
…esattamente identico a tutte le altre specie
Ma anche questa è una bugia. Come spiegavano al World Economic Forum:
The argument that insects are a good source of protein is compounded by the fact that their production uses considerably less resources (less land, less feed, less water, less transport fuel and less human labor) than animal livestock while possessing a much smaller carbon footprint.
Perché una giornalista che invita gente a dibattere su uno specifico argomento non abbia questi dati con cui poter zittire l’ospite è una cosa che ancora non comprendo. Anche se un suggerimento me lo diede la redazione di Fake quando mi venne detto che non si può zittire l’ospite con dati alla mano, sennò la prossima volta non torna. Questo non è giornalismo ma puro intrattenimento. Non si sta informando il pubblico a casa, li si sta prendendo in giro con chili di disinformazione.

Problema di sicurezza…

Scordamaglia poi passa a sostenere che gli insetti pongano un problema legato alla sicurezza del cibo. Siamo seri? Sì, Scordamaglia infatti spiega che siccome gli insetti arrivano da Paesi esteri:
…le cui positività a tutta una serie di sostanze chimiche in generale su tutti i prodotti alimentari di questi paesi sono 400% più alte di quegli standard utilizzati nei paesi dell’Unione Europea…
…allora secondo lui pongono problemi di sicurezza alimentare. Ma il consigliere delegato di Filiera Italia forse si è scordato che ogni prodotto che arriva dall’estero deve passare controlli dell’Unione e poi controlli dei singoli Paesi in cui viene importato. Quindi poco conta la sua provenienza, quell’insetto passerà al vaglio dei controllori almeno due volte prima di essere servito in tavola. La cosa che fa un filino arrabbiare è che subito dopo cita casi di intossicazioni alimentari causate da prodotti stranieri, omettendo di dire che si sono verificati anche con svariati prodotti italiani. Lobbismo: lo stai facendo benissimo.
Viene citato un caso di intossicazione da locuste messicane in California, ma nessuno che chieda cosa questo abbia a che fare con i paesi citati da Scordamaglia. Del caso californiano peraltro non ho trovato tracce, ma siamo sicuri che Scordamaglia vista la sua preparazione sul tema abbia tutti i dettagli del caso.

Etichette non chiare…

Per finire in bellezza Scordamaglia sostiene che secondo le regole dell’Unione Europea non debba esser riportato in maniera chiara se un prodotto contiene farina d’insetti. Ma anche questa è un’inesattezza. Come spiegato nelle norme dell’UE in merito, le etichette di cibi con ingredienti NON tradizionali – i cosiddetti novel food – devono riportare l’informazione bene in vista. Quindi sì, l’UE impone che sia evidente la dicitura che il prodotto contiene farina d’insetto. L’attacco all’etichetta serve per cambiare argomento, e lanciare l’ennesima inesattezza. Sì, perché il paragone che fa Scordamaglia è con il vino, sostenendo che – mentre sui prodotti con farina d’insetto non sarà riportato chiaramente in etichetta – invece sul vino useremmo:
…claim tipo fumo di sigarette assolutamente drammatici…
Scordamaglia dà a intendere al pubblico di Omnibus che la scelta di quelle etichette sia dell’Unione Europea, che a dir suo sarebbe schizofrenica. Ma è una bugia anche questa. Le etichette a cui fa riferimento, come già spiegato, sono per tutti gli alcolici, e sono state scelte e introdotte dall’Irlanda che, in quanto paese membro, ha dovuto chiedere il permesso all’UE. Guardacaso in conclusione del suo intervento ricorda i numeri del fatturato del settore agroalimentare italiano, non fosse chiaro che lui è lì per difendere gli interessi economici del Paese, non l’ambiente, non la salute dei suoi cittadini.
Sono passati dieci minuti dall’inizio segmento dedicato agli insetti, fino a ora si è data una singola informazione corretta e quattro sbagliate. Ottimo lavoro.

Il problema è che non è finita qui. Fratello cerca di fare un po’ di chiarezza, anche grazie a Vitalba Azzollini, evidenziando come l’etichetta sia appunto irlandese “per parlare agli irlandesi” – Paese che, ricordiamo, ha un grave problema con i danni dell’alcol – e che al momento non esistano studi o proposte di estenderla agli altri Paesi europei.

Intermezzo

Scordamaglia e De Carlo gigioneggiano spalleggiandosi a vicenda, insistono che il vino non è il problema, ma un più generico “alcol”…

Come dimostra un sondaggio fatto dall’ufficio europeo dell’OMS gli italiani non ritengono che le etichette sugli alcolici siano abbastanza esplicite sui rischi portati dal suo consumo. Chi attacca la questione delle etichette spesso lo fa citando la Francia che, come noi, potrebbe avere danni al settore vitivinicolo. Beh, la grossa differenza tra Francia e Italia è proprio questa, la consapevolezza dei cittadini francesi è molto superiore rispetto alla nostra, così come la chiarezza sulle loro etichette.

De Carlo, per non farci mancare nulla, attacca anche il Nutriscore, e lo fa con una frase che rasenta il ridicolo:

…l’altro strumento discriminante dei prodotti italiani, che poi si è capito che non era discriminante solo nei confronti dei prodotti italiani. Tutti i prodotti caratteristici tradizionali costruiti, non costruiti, ma sviluppatesi in ogni nazione che constano nella peculiarità stessa della nazione venivano discriminati allo scopo di favorire prodotti costruiti in laboratorio, laddove non era importante nessun attaccamento territoriale su un sapere sapori delle genti che lo avevano contribuito a formare, e che era una strategia che puntava a ridurre fette di mercato importanti soprattutto per l’Italia che quest’anno raggiunge i 62 miliardi di export nell’agroalimentare ma anche di tante altre nazioni.

Noi ci siamo occupati di Nutriscore, spiegando fin da subito che non c’era alcun attacco all’Italia o ai nostri prodotti, ma possiamo concordare con chi sostiene che esistano sistemi di etichettatura migliori per dare indicazioni di salute sull’alimentazione. Quello che è ridicolo è sostenere che fosse una strategia fatta per attaccare le ricchezze territoriali europee a favore di prodotti anonimi della grande distribuzione. De Carlo e Scordamaglia operano per conto di precise lobby, far finta che non sia così è sciocco.

Arriva il primo blocco pubblicitario e per ora lo spazio della trasmissione è sbilanciato in maniera imbarazzante verso chi, invece che informare, porta la propria tesi non verificata e la spaccia per fatto conclamato.

Al ritorno in studio Fratello passa la parola alla professoressa Jucker, che da scienziata invece che parlare per dogmi spiega le cose con calma. Interrogata da Fratello riporta che ci sono punti ancora da valutare sulla questione della sostenibilità degli allevamenti di insetti, ad esempio la spesa energetica necessaria. Ma questa calma nello spiegare la scienza viene fraintesa, e Fratello riformula la sua domanda:

La domanda è: quindi non è poi così conveniente né da un punto di vista ambientale né da un punto di vista economico, questo è quanto ci sta dicendo lei, il che potrebbe portare questi prodotti a costare anche cari…

Ma non era quello che stava dicendo Jucker, che però, incalzata da una domanda posta in questo modo, si limita a rispondere all’ultima parte, quella sul prezzo. E conferma che al momento questi prodotti siano cari. Ma il motivo di questi prezzi è dato proprio dal fatto che al momento da noi non si fa alcun tipo di allevamento e si importa tutto da lontano. E non è per la convenienza del prezzo che si è deciso di introdurre questo tipo di ingredienti. Ma è evidente che non c’è un vero interesse nel tentare di fare informazione.

Lobby e complotti

Alec Perkins su Flickr

Fratello, dopo questa, introduce l’altro tema: il complotto che vorrebbe l’introduzione dell’ingrediente insetto per i poveri, mentre i ricchi continuerebbero a cibarsi di alimenti tradizionali. Su BUTAC studiamo complotti e leggende urbane ormai da dieci anni, a oggi non ho visto nessuno – visti i prezzi, come dicevamo poco fa, e come in trasmissione aveva detto poco prima anche Jucker – sostenere tale tesi, ma evidentemente noi e gli autori di Omnibus frequentiamo ambienti diversi. Il tema però stavolta viene girato a un nuovo ospite, Federica Fantozzi, giornalista dell’Huffington Post, ospite sul tema in quanto ha scritto articoli in merito e ha intervistato l’ex ministro dell’Agricoltura Centinaio.

Fantozzi non risponde nel merito, anche perché – diciamolo – era una domanda del cacchio, e si mette genericamente a parlare della materia, confermando il costo elevato, e dando in parte ragione a Scordamaglia sulla questione sicurezza degli alimenti e scarsi controlli (e diversi standard) nei Paesi in cui vengono allevati. Usa un termine che non è pertinente in questo contesto, spiega che al momento sarebbe grave “abbassare la guardia” sui controlli, ma è una frase che non ha senso: l’Unione Europea non ha introdotto una normativa che riduce i controlli su quanto importato nella regione, i controlli restano gli stessi di sempre. Poi, con un volo pindarico, passando dal lobbismo dell’Unione Europea che avrebbe interessi economici nel legiferare – evidentemente accusare i due soggetti che ha di fronte di essere due lobbisti suonava male – cita anche le etichette, e anche su queste dà in buona parte ragione a De Carlo e Scordamaglia, con una frase che vi voglio riportare:

…le etichette così terrorizzanti non hanno mai aiutato dai tempi del proibizionismo soprattutto i ragazzi che se gli dici che una cosa è pericolosa la fanno apposta. Il vino fa male se viene abusato, ma anche il cioccolato, tutto, però bisogna anche fare attenzione a paesi che hanno culture enogastronomiche diverse che legittimamente le portano avanti. Quindi su questo è giusto che l’Italia e altri paesi, negli organismi dell’Unione Europea, facciano valere legittimamente e correttamente le proprie ragioni.

Io non so che dire, abbiamo già mostrato in precedenza come, dall’introduzione delle etichette sui pacchetti di sigarette, ci sia stato un grosso calo dei fumatori in Italia, grosso calo probabilmente dato più da gente che ha scelto di non cominciare che da gente che ha scelto di smettere, ma c’è stato, negarlo è disinformare. Sostenere che le etichette di avvertenza (e non di divieto) non servano è un azzardo che un giornalista dovrebbe evitare se non ha fonti certe su cui basarsi. Si continua a pensare prima agli interessi economici dei produttori che alla salute dei consumatori/cittadini, quando i consumatori/cittadini hanno problemi di salute però sono le casse dello Stato che si occupano delle cure.

Ma poi il benaltrismo del “tutto fa male” è di quelli da terza elementare. Come si usa dire è la dose che fa il veleno, nel caso delle bevande alcoliche però gli studi dicono chiaramente che anche la dose minima presenta dei rischi, cosa non vera invece per il cioccolato e tantissimi altri alimenti.

Aiuto, è tutto pieno di chimica

L’assist di Fantozzi è colto subito da Scordamaglia, che parte a tutta velocità con l’altro cavallo di battaglia di Coldiretti: la chimica, gli alimenti trasformati, il “cibo Frankenstein”. Scordamaglia lo fa partendo da un termine che ha fatto molto sorridere a casa mia dove si parla normalmente inglese, il Food Social Gap, anche detto nel resto del mondo Food Gap, ma a noi italiani piace sempre frarci ridere dietro con invenzioni linguistiche di questo genere. Racconta Scordamaglia:

Qui c’è una diseguaglianza alimentare crescente, nel senso che c’è una produzione sempre più standardizzata, omologata di cibi ultratrasformati, non differenziati, pieni di chimica (sic) che qualsiasi classificazione mondiale contrasta perché chi mangia più di quattro dosi (sic) al giorno di cibo ultratrasformato, vuol dire semplicemente con più di dieci undici ingredienti, lontanissimi dall’elemento agricolo, ha il 62% di più mortalità e il 28% di più di sviluppo cognitivo (sic). Qual è il vero problema? Che chi non ha potere di acquisto che si rivolge sempre più su uno standard inferiore, che venga dal cibo trasformato o che venga da importazioni da paesi a basso standard, qui nessuno dice che in Italia ci sono regioni dove l’aspettativa di vita è di oltre due anni meno della media nazionale. E nessuno dice che questo è legato a un alimentazione sbagliata…

E la conduttrice che fa? Chiede fonti di queste affermazioni? No, Fratello risponde con un:

Su questo lei ha assolutamente ragione.

Ma non è vero che abbia ragione. Sfruttare il tema “la chimica fa male” è uno dei cavalli di battaglia di Coldiretti. Ma è disinformazione, cattiva informazione fatta in malafede. L’abbiamo già spiegato più volte, tutto è chimica, anche il sudore della fronte di De Carlo.

Poi Fratello cerca di tornare sul tema grilli e insetti, ma ormai siamo passati alla demonizzazione della chimica, Scordamaglia insiste, De Carlo gli dà ovviamente sostegno. Nessun altro osa dire nulla.

Il senatore torna a citare i record di esportazione dell’Italia, a dimostrazione che qui l’unico tema che interessa sono gli sghei. De Carlo poi riporta un dato, dice che l’Italia al momento è sesta nella classifica sulla sostenibilità dell’agricoltura. Peccato che quel dato non risulti corretto. Il Food Sustainability Index non ci vede nei primi dieci posti in classifica, al momento risultiamo 16esimi – che non è male visto che i Paesi presi in esame sono 78. Ma non siamo sesti in nessuna delle sottoclassifiche:

Nella classifica specifica legata alla sostenibilità agricola siamo 53esimi, il peggior risultato che otteniamo è proprio in quella valutazione. Perché mentire?

Siamo a mezz’ora di segmento, a parlare sono stati perlopiù Scordamaglia e De Carlo. E grazie all’introduzione dell’argomento chimica e cibi trasformati Fratello passa la parola a Cinzia Sciuto, giornalista e codirettrice di MicroMega, per parlare di cibo sintetico.

Sciuto è brava, e comincia subito spiegando che tutto è chimica. Usa una frase che mi è piaciuta tanto:

…Il nostro piatto è sempre pieno di chimica perché l’agricoltura stessa è trasformazione della materia.

Sciuto, a distanza ormai di 15 minuti dall’affermazione errata sulla sicurezza alimentare degli insetti, spiega quanto abbiamo detto poco sopra.

L’Europa dice “nuovi cibi” va bene, ma soltanto ai nostri standard.

Sciuto dice tante cose corrette, ma lo fa in due minuti, quando è mezz’ora che invece viene diffusa perlopiù disinformazione. E ovviamente quando si dicono cose corrette che cosa succede? Si va in pubblicità, e al rientro non si va più da Sciuto, ma da Azzollini per parlare di un titolo di Libero Quotidiano che ha accusato l’UE di aver favorito (ma il termine usato è “far ingrassare”), con il permesso al commercio di alimenti a base di insetti, una sola azienda.

Cricket Co.

Libero Quotidiano ovviamente fa il suo mestiere, quello di buttarla in caciara, ma che Fratello usi quel titolo dimostra che nemmeno ci ha provato a studiare la materia, e questo a nostro avviso è grave. Azzollini da esperta di diritto spiega le cose in maniera chiara, ed era abbastanza semplice d’altronde, bastava leggere la norma approvata in merito. Non è che l’UE ha scelto una singola azienda, ma è una singola azienda ad aver richiesto il permesso e ad aver presentato la documentazione necessaria per dimostrare il rispetto delle regole europee.

Poi arriva una domanda che purtroppo dimostra l’incapacità della redazione nella gestione di ospiti esperti sul tema su cui vorrebbero parlare per un’intera puntata. L’entomologa è esperta di insetti, non di novel food, e non sa rispondere alla domanda di Fantozzi che chiede quanta farina di grillo serva per avere lo stesso apporto proteico della bistecca. Il problema è che Fantozzi fa la domanda, Jucker risponde che non lo sa e nell’aria resta la possibilità che ne serva tantissima. Quando, come spiegavamo poco sopra, è vero il contrario. Ma è possibile fare una domanda in trasmissione e non essersi assicurati di avere qualcuno che avesse la risposta? Ma che maniera di fare informazione è?

Esistono già studi in merito (come è giusto che sia): 100 grammi di bistecca bovina hanno circa 20,6 grammi di proteine, 100 grammi di farina di grillo hanno circa lo stesso apporto, gli altri valori (grassi, grassi saturi e sodio) invece variano di più. Con la differenza che per avere nel piatto quella bistecca abbiamo consumato più suolo e acqua di quanta ne consuma il grillo.

Cherry picking

Ci mancava anche una sana dose di cherry picking nella scelta delle fonti. Scordamaglia cita uno studio dell’Università di Davis negli Stati Uniti. Il problema è che lo studio, come capita spesso, non dice esattamente quanto riporta Scordamaglia. Lui sostiene che lo studio dimostri con certezza che i grilli non siano così convenienti, ma lo studio, di sette anni fa, dice che se coltivati su substrati di qualità rispettando determinati standard non è detto che siano così convenienti. Che è diverso rispetto ad affermare che non lo sono con certezza, soprattutto se lo studio è datato e ce ne sono di successivi. Questa è malinformazione, dare informazioni vere ma senza contestualizzarle correttamente, o selezionando solo quelle utili per il proprio scopo senza dare un quadro completo della situazione. Malinformazione che procede ritirando fuori il problema degli standard di coltivazioni e contaminazioni nei Paesi da cui si importa. Il tutto facendo finta che quanto spiegato poco prima sui controlli in fase d’importazione non sia stato detto. Così lo spettatore a casa ha ricevuto due volte la stessa informazione distorta e una sola volta quella corretta.

Glifosato

Poteva mancare? Scordamaglia viene incalzato da Fratello che chiede come sia possibile che qualcosa di contaminato superi i controlli in entrata, ed è evidente che lui non sa come rispondere. Quindi la soluzione è quella di distogliere il fulcro dell’attenzione, e tirare fuori il grande cavallo di battaglia di chi porta avanti la disinformazione lobbista: il nostro erbicida preferito, il glifosato. Riporto quanto dice Scordamaglia:

Il glifosate è un potente erbicida che in Canada e negli Stati Uniti viene utilizzato anche in fase di pre raccolto per essiccare il prodotto perché non hanno la temperatura. Bene, da noi il glifosate non si può usare in fase di pre raccolto in Italia. Non è che ogni carico di grano viene controllato, sarebbe impossibile, quello che sta venendo fuori per esempio è che molte paste italiane hanno dei limiti di glifosate perché hanno utilizzato un grano più contaminato della norma. Quindi l’Europa fissa le regole, ma non controlla il 100%, ecco perché i prodotti provenienti da paesi terzi non hanno gli stessi standard di sicurezza, se non sulla carta, di quelli italiani.

Avessi ancora i capelli ci sarebbe da strapparseli. Perché anche in questo contesto si raccontano inesattezze dando a intendere allo spettatore cose che non sono. Sì, è vero che in Italia non si usa il glifosato in fase di pre-raccolto, non lo si usa anche grazie alle lobby. Ma dare a intendere, come fa Scordamaglia, che in certa pasta ci sia una presenza di erbicida superiore ai limiti imposti è grave. Non è affatto corretto sostenere quell’idea. Le paste italiane che mostrano la presenza di glifosato sono tutte dentro i limiti imposti dal nostro governo, che sono comunque più stringenti di quelli imposti dall’UE e dall’OMS. Sì, è vero che non si controlla ogni singola balla di grano importata, i controlli si fanno a campione – come sui nostri prodotti esportati – ed è molto raro che nelle importazioni di grano risultino livelli molto superiori al limite imposto.

Le etichette

De Carlo poi insiste nella disinformazione – o forse è solo misinformazione causata da ignoranza, che sarebbe altrettanto grave vista la posizione che ricopre:

Sono i consumatori che alla fine scelgono, io credo che sarà un motivo, è vero anche di vendita quello di dire “non contengono farine d’insetti”, è vero che è un lavoro in più, di difesa quasi del proprio prodotto da parte dei nostri produttori che dovranno indicarlo specificatamente in un’etichetta, perché se andiamo a leggere i singoli ingredienti Acheta Domesticus lo troveremo negli ingredienti e difficilmente una persona al supermercato si metterà a guardare ogni singolo ingrediente. Invece è molto più impattante il messaggio.

“Un lavoro in più” sarebbe secondo il senatore il mettere in etichetta la dicitura “senza farine di insetti”, ma non è un lavoro in più, è una modifica alle etichette come se ne fanno tutti gli anni: ad esempio pare che scrivere “senza olio di palma” perfino sulle etichette di prodotti che non prevedono, né hanno mai previsto, grassi tra gli ingredienti non abbia causato grossi problemi a nessuno, semplicemente i produttori hanno ritenuto che la specifica potesse essere conveniente per i loro affari e l’hanno messa in pratica.

Ma anche questa è disinformazione, perché si dà a intendere allo spettatore che la farina d’insetti potrà essere messa in alimenti comuni senza che l’informazione venga esplicitata in maniera evidente. La legge in merito invece dice chiaramente che la presenza di farine e ingredienti da novel food in alimenti fino a quel momento fatti con una ricetta più tradizionale andrà appunto esplicitata in maniera evidente. Quindi non servirà cercarli a fatica tra gli ingredienti. Ma la narrazione è quella, come dimostrano i tanti articoli che abbiamo dovuto scrivere sul tema.

Casu Martzu

In chiusura non ci facciamo mancare la citazione del Casu Martzu, il formaggio coi vermi. Fratello, grazie alla professoressa Jucker, dà un favoloso assist a De Carlo. La professoressa infatti cita il Casu Martzu, e Fratello coglie la palla al balzo:

…che purtroppo è fuorilegge, perché l’Europa ci ha impedito di venderlo…

De Carlo invece che fare chiarezza (o di stare zitto) insiste:

…Il paradosso, quelli (indicando degli insetti in foto) vanno bene, il Casu Martzu no.

Fratello:

Ecco, non sarebbe il caso di farci una bella battaglia per farlo ritornare?

Ma sia Fratello che De Carlo sono disinformati e stanno disinformando. Il Casu Martzu è sì vietato dalle normative, ma prima di tutto da quelle italiane, fin dal 1962, perché viola l’articolo 5 della legge 283 del 30 aprile 1962. Articolo che, al punto d, spiega che è vietata la vendita di prodotti alimentari invasi da parassiti. Il Casu Martzu è invaso da parassiti, che oltretutto sono vivi mentre lo si mangia. Ed è su questa base che è vietata la vendita del Casu Martzu nei negozi, pur essendo nell’elenco dei prodotti tipici italiani. La legge da cambiare non è quella europea, ma quella italiana. Ignoranti, non c’è altra definizione. Se l’Italia cambiasse quella legge rimarrebbe vietata l’esportazione, ma sarebbe permessa la vendita sul territorio. Quella legge è fatta per salvaguardare la salute dei cittadini, ma come abbiamo visto non è la sua salvaguardia la priorità.

Conclusioni

La trasmissione va avanti ancora un po’, ma credo sia davvero giunto il momento di fermarsi. Ho scritto uno degli articoli più lunghi mai pubblicati su BUTAC perché credo fosse interessante farlo, non solo per l’argomento specifico, ma proprio per mostrare nel nostro piccolo blog come la disinformazione permei ogni media. A che serve la classifica di NewsGuard sui siti più affidabili quando basta fare una carellata tra le trasmissioni che “fanno approfondimento” per trovare questo genere di ospiti a diffondere chili di inesattezze? Ho preso Omnibus perché ce l’avete segnalato in diversi, ma l’avessi fatto con una qualsiasi “trasmissione di approfondimento” sulle reti RAI e Mediaset (con l’eccezione di SuperQuark e poco altro) sarebbe stato molto simile. Perché è il modo di fare giornalismo in Italia che funziona così. Come mi disse appunto la conduttrice di Fake su La9: non possiamo sbugiardare l’ospite durante la trasmissione, sennò non torna più. Questo comportamento è uno dei motivi per cui nelle trasmissioni italiane non si fa approfondimento ma si distribuisce ignoranza, liberamente, invitando soggetti che in altri Paesi verrebbero sbugiardati pubblicamente se dicessero pubblicamente questa marea di sciocchezze. Inutile pensare di contrastare l’information disorder se prima non cambia il modo di fare giornalismo. 

Abbiamo taggato la padrona di casa ad Omnibus e i suoi ospiti, siamo quasi sicuri che nessuno ci degnerà di uno sguardo, ma sarebbe bello vederli rispondere nel merito alle critiche.

maicolengel at butac punto it

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