L’effetto Werther e le responsabilità dei media

Un resoconto dettagliato di una lista di casi di suicidio. Era davvero necessario? Ricordiamo ancora che cos'è l'effetto Werther...

Su La Repubblica del 16 aprile 2023 è uscito un articolo dal titolo:

Morire di università

L’articolo, dietro paywall, è il resoconto dei suicidi di alcuni ragazzi italiani, un resoconto condito da opinioni di docenti, compagni di scuola, politici, e anche una psicologa. In tutto l’articolo non si fa però mai menzione a una cosa che su BUTAC abbiamo riportato più e più volte, il famoso effetto Werther.

Cosa è l’effetto Werther?

L’effetto Werther è quel fenomeno che si verifica quando la notizia di un suicidio pubblicata dai mezzi di comunicazione di massa provoca una catena di altri suicidi per imitazione o suggestione. Il termine deriva dal romanzo “I dolori del giovane Werther” di Goethe, che nel XVIII secolo causò molti casi di suicidio per emulazione tra i giovani lettori del romanzo. Alcuni esempi moderni di questo effetto sono i suicidi seguiti alla morte di Marilyn Monroe, Kurt Cobain e altri personaggi famosi. Per prevenire questo fenomeno, si raccomanda ai giornalisti di non dare troppi dettagli o risalto sensazionalistico alle notizie sui suicidi.

L’articolo di Repubblica, con la sua cronistoria, di quei suicidi di dettagli ne dà veramente tanti.

Ma quindi non se ne deve parlare?

Certo che se ne deve parlare, ma non dei suicidi in quanto tali, bensì dei problemi psicologici che portano a quel gesto estremo, dando voce a chi si occupa della materia a livello professionale, evitando magari dettagli su come dove e quando ci si suicida e invece inserendone di più su dove, come, quando e a chi chiedere aiuto, magari anche fornendo risorse immeditamente fruibili come siti internet o numeri di telefono. Ed evitando quei sensazionalismi che portano i lettori a convincersi che esista un’emergenza, che in realtà i numeri smentiscono.

I numeri, quelli verificabili

Sì, perché in Italia i suicidi sono stabili o in calo, non in crescita, perlomeno dal 2011 al 2020. I dati sul 2021 e 2022 ancora non sono pubblicati. E i dati di cui siamo in possesso ci raccontano che nel 2011 in totale in Italia si sono tolte la vita 4180 persone, nel 2020 3748; i giovani (tra i 15 e i 34 anni) che si sono tolti la vita nel 2011 erano 588, nel 2020 472. Non ho dati specifici per fasce d’età precedenti il 2011, solo i numeri totali, ma anche così vediamo un costante calo del numero di suicidi nel nostro Paese a partire dal 1993, ne parlammo nel 2014 citando sempre le tabelle ISTAT.

Nel commentare l’articolo di Repubblica un amico mi ha linkato un report dell’anno scorso della Fondazione Veronesi, report che mi ha lasciato un filo sorpreso, a un certo punto nel testo si legge:

I GIOVANISSIMI SONO I PIÙ A RISCHIO
L’incidenza del suicidio è particolarmente elevata tra i giovani, rappresentando la percentuale più importante sul totale dei decessi. Ogni anno, quasi 46.000 bambini e adolescenti tra i 10 e i 19 anni si tolgono la vita in tutto il mondo, circa uno ogni undici minuti. Il suicidio è la quinta causa di morte più comune tra gli adolescenti dai 10 ai 19 anni e la quarta nella fascia d’età dai 15 ai 19 anni (addirittura la terza se si considerano solo le ragazze).

Secondo l’Istat, sono circa 4000 i giovani che ogni anno, in Italia, si tolgono la vita; nel 2021 sono stati 220mila i ragazzi tra i 14 e i 19 anni insoddisfatti della propria vita che, allo stesso tempo, si trovano in una condizione di scarso benessere psicologico, e la pandemia non ha sicuramente aiutato.

Il grassetto è nostro, ed evidenzia quello che crediamo sia un refuso. Come potete verificare poco sopra al link ISTAT non sono 4000 i giovani che ogni anno si tolgono la vita: nella fascia 15-34 non arrivano ad essere 500. Fossero 4000 avremmo quasi il 10% dei suicidi mondiali nella fascia giovanile. Perché l’altro dato invece, quello dei 46mila, è corretto e documentato.

Il problema è che i numeri di una istituzione seria come la Fondazione poi vengono presi come oro colato dalle agenzie di stampa che, senza alcuna verifica, li sfruttano per sensazionalizzare ulteriormente ogni notizia di cronaca relativa all’argomento.

Quello che serve è maggior aiuto psicologico ai giovani (ma anche agli adulti) e maggior consapevolezza del problema, che è comunque piccola cosa nel nostro Paese rispetto ad altre realtà. Questo non significa affatto che vada preso sottogamba, bensì che vada raccontato dati alla mano e senza eccessiva enfasi dove non è necessaria, non solo per la corretta informazione ma anche per evitare l’effetto Werther. Nel caso a qualche giornalista interessi, qui un vademecum redatto dall’Ordine dei Giornalisti della Toscana per parlare di suicidio sui media.

maicolengel at butac punto it

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