Michele Santoro presenta: “Parole proibite”
Quelle che tutti possiamo pronunciare: quando, dove e come vogliamo
Questo articolo è dedicato a quanto affermato in un video del canale YouTube (cito testualmente) “promosso da Michele Santoro”, nel quale la giornalista Fiammetta Cucurnia discute col fotoreporter Giorgio Bianchi (livello VIP di fedeltà BUTAC) e lo scrittore Nicolai Lilin (livello “ce la sto mettendo tutta” di fedeltà BUTAC) della recente sentenza della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja. Per comodità, l’articolo sarà diviso in capitoli.
1. Parole proibite: “non tutti dicono quello che dico io” is the new “censura”
Il 31 gennaio scorso la Corte ha rigettato la quasi totalità delle accuse mosse dall’Ucraina alla Russia nel 2017, ma, sostiene la giornalista all’inizio del video, la notizia
ha avuto poco spazio sui mezzi di informazione, italiani in particolare.
Eppure, continua la stessa, si tratta di
una sentenza che ribalta, in qualche misura, la percezione che noi fino a oggi abbiamo avuto del conflitto tra la Russia e l’Ucraina.
Precisiamo che nella descrizione del video si usano le parole
Una notizia passata in sordina su gran parte dei media italiani
Mentre il titolo del video in questione risulta più esplicito:
Parole Proibite: Russia-Ucraina sentenza censurata
Mentre veniamo bombardati dalla retorica della censura, ci viene mostrato un cartellone con due articoli pubblicati da RaiNews sullo stesso argomento, uno del 31 gennaio (il giorno stesso del verdetto) e l’altro del giorno dopo. Il primo febbraio anche il Fatto Quotidiano ha dedicato un articolo alla questione, così come ha fatto il Giornale il 3 dello stesso mese. Cercando in rete è possibile trovare anche articoli di testate più piccole. Il video che stiamo trattando, invece, risale all’8 febbraio.
Cucurnia e i suoi ospiti alla “notizia passata in sordina” dedicano sì e no cinque minuti, comprensivi di sigla e passati a leggere quanto già scritto nei cartelloni. Soprattutto, però, arriviamo alla fine dei più di trenta minuti di video scoprendo, della “sentenza censurata”, solamente la data in cui è stata emessa e i due punti (dei quali ci occupiamo tra un attimo) mostrati nei cartelloni tra i minuti 2:14-2:33. Aggiungo che le poche decine di righe dei quattro articoli di giornale sopra menzionati riescono a raccontarci molto, molto di più di quanto riescano a fare i tre in mezz’ora. Magari, prima di crogiolarci nell’indignazione e sparare accuse alla cieca, proviamo a dare una definizione quanto più completa di cosa intendiamo per censura, poi procediamo a valutarne la conformità con la realtà.
Comunque: qualcuno ha idea di come si possa ribaltare qualcosa solo “in qualche misura”?
2. Parole Proibite: “adesso interpreto le cose come mi fa comodo” is the new “informazione”
Al minuto 1:30, prima ancora di avere accennato a qualsiasi introduzione (peraltro mai fatta) di quello che dovrebbe essere il tema centrale della puntata (che nei fatti occupa però meno della metà dei trenta minuti abbondanti del video), Cucurnia sostiene che
La Corte Internazionale di Giustizia non ritiene di utilizzare il termine “aggressore”, “Paese aggressore”, nei confronti della Russia.
I problemi con quanto qui affermato sono molteplici. Nella sentenza né la parola “aggressor” né alcun suo sinonimo compaiono mai, mentre è possibile trovare la parola “aggression”: 6 volte in 117 pagine. In tutti e sei i casi si vanno a citare in maniera diretta le parole utilizzate dalla parte ucraina nella sua accusa alla controparte russa. A questo riguardo, a pagina 30, paragrafo 30, troviamo un passaggio piuttosto esplicito:
The Court further stated that, in the present proceedings, Ukraine is not requesting that it rule on issues concerning the Russian Federation’s alleged “aggression” or its alleged “unlawful occupation” of Ukrainian territory, nor is the Applicant seeking a pronouncement of the Court on the status of the Crimean peninsula under international law. These matters do not constitute the subject-matter of the dispute before the Court.
La Corte ha quindi concluso che, nel caso in esame, l’Ucraina non sta chiedendo di giudicare sulle questioni inerenti la presunta “aggressione” da parte della Federazione Russa o sulle sue presunte “occupazioni illegali” di territorio ucraino, né il Richiedente domanda un pronunciamento della Corte sullo status della penisola di Crimea sotto il diritto internazionale. Queste questioni non costituiscono l’oggetto della disputa di fronte alla Corte.
Il passaggio è limpido come l’acqua. Piuttosto, la Corte ha sentenziato su questioni inerenti la Crimea e le due Repubbliche separatiste di Lugansk e Donetsk ed è a questa “aggressione” che la parte ucraina fa riferimento. Appare evidente che chiarire questo punto è essenziale alla comprensione della sentenza stessa, eppure, come già detto sopra, Cucurnia non trova mai il tempo di specificare che le accuse ucraine sono state mosse alla Russia nel 2017 nei confronti di quanto accaduto nel 2014: affermare che la Corte non ritenga di utilizzare il termine “aggressore” nei confronti della Russia davanti a un pubblico del tutto sguarnito di qualsiasi coordinata cronologica rischia di far passare l’idea che l’Aja abbia sentenziato di non poter definire quanto scatenato da Putin nel 2022 come “aggressione”. Non è così. A volerla dire tutta, l’Aja ha di recente confermato di avere la giurisdizione per pronunciarsi sulla causa intentata dall’Ucraina attraverso il Memoriale del primo luglio 2022, proprio inerente l’invasione. Per il verdetto dovremo, chiaramente, attendere.
3. La sentenza parte I: “minimizzare quello che non mi fa comodo” is the new “interpretare”
Al minuto 2:15 vengono fatti scorrere due cartelloni con un riassunto del verdetto dell’Aja:
Kiev accusava Mosca di aver finanziato il terrorismo armando i ribelli delle repubbliche separatiste, ma la Corte non ha ritenuto ci fossero i presupposti per accogliere la richiesta.
L’Aja ha “respinto tutti gli altri argomenti avanzati dall’Ucraina”, precisando solo che la Russia non abbia preso misure sufficienti per consentire l’insegnamento della lingua ucraina nella penisola.
Prosegue Cucurnia, al minuto 2:28, dicendo che:
L’unica accusa che al momento la Corte, emettendo il suo verdetto definitivo, ha accolto nei confronti della Russia, è quella di non aver sufficientemente indagato per stabilire se ci fossero delle organizzazioni terroristiche implicate nella vicenda.
L’insegnamento della lingua ucraina in Crimea ce lo siamo persi per strada. Un po’ come ha fatto Putin.
Soffermandoci sull’accusa di finanziamento al terrorismo, leggiamo a pagina 59, paragrafo 157:
On the basis of all the preceding considerations and findings, the Court concludes that the Russian Federation has violated its obligations under Article 9, paragraph 1, of the ICSFT.
Sulla base delle considerazioni e dell’esito degli accertamenti, la Corte conclude che la Federazione Russa ha violato gli obblighi relativi all’Articolo 9, paragrafo 1, del ICSFT.
L’Articolo in questione recita:
Upon receiving information that a person who has committed or who is alleged to have committed an offence set forth in article 2 may be present in its territory, the State Party concerned shall take such measures as may be necessary under its domestic law to investigate the facts contained in the information.
Dopo essere stato informato del fatto che una persona che ha commesso o che si presume aver commesso un’offesa di cui all’articolo 2 può trovarsi sul proprio territorio, lo Stato interessato adotta le misure necessarie secondo la sua legislazione nazionale ad investigare i fatti indicati nell’informazione.
Il problema, dunque, non è un generale “la Russia avrebbe dovuto”, ma uno specifico “alla Russia è stata segnalata la presenza di presunti terroristi sul proprio territorio, ma ha coscientemente e volontariamente deciso di non avviare alcuna indagine”. Detta così suona in maniera un po’ differente, no?
4. Il verdetto parte II: “fare finta di niente” is the new “raccontare i fatti”
Diamo adesso spazio al secondo punto del cartellone, quello che sono riusciti a dimenticare tutti e tre. Consultando la sentenza si può leggere nelle conclusioni, a pagina 106, paragrafo 370:
In light of the above, the Court concludes that the Russian Federation has violated its obligations under Article 2, paragraph 1 (a), and Article 5 (e) (v) of CERD by the way in which it as implemented its educational system in Crimea after 2014 with regard to school education in the Ukrainian language.
Alla luce di quanto detto sopra, la Corte conclude che la Federazione Russa ha violato gli obblighi relativi all’Articolo 2, paragrafo 1 (a), e all’Articolo 5 (e) (v) del CERD relativamente al modo in cui ha implementato il suo sistema educativo in Crimea dopo il 2014 con riferimento all’educazione scolastica in lingua ucraina.
Tradotto: mentre negli scorsi anni soggetti come Bianchi, Lilin e company ci hanno raccontato (e ancora insistono) di come il governo di Kiev nel 2019 abbia emanato una legge discriminatoria nei confronti dei russofoni, dal 2014 la Russia non ha fatto nulla per evitare politiche discriminatorie nei confronti degli ucraino-parlanti in Crimea.
Ad ogni modo l’importante è non farne cenno, proprio come fanno Cucurnia e i suoi ospiti.
Alla questione etnico-linguistica è stato però riservato ampio spazio su tutti i canali di informazione, spesso lasciando che se ne parlasse a sproposito e soprattutto piegandone la complessità al solo squallido scopo di aderire a questa o a quella narrazione. Direi che le si possa dedicare un paio di righe in più.
Qui su BUTAC abbiamo già pubblicato un bell’articolo sul mito di un’Ucraina profondamente divisa che vi invito caldamente a recuperare, nel caso ve lo siate perso. Riassunto: non esiste alcun legame diretto e biunivoco tra “lingua” ed “etnia”. Sull’argomento è disponibile anche un articolo dedicato ai risultati di uno studio del 2017 del Razumkov Centre, che aggiunge un’ulteriore differenziazione tra lingua, etnia e nazionalità, introducendo anche il concetto di “bi-etnia”: è ottimo per chi volesse avere un assaggio della complessità e dell’incredibile originalità della società ucraina.
Quell’odiata legge su cui tanta parte dei nostri salotti ha imbandito polemiche su polemiche è stata emanata nel 2019 in un Paese già de facto in guerra col vicino russo, da un presidente uscente che aveva fatto della lingua ucraina uno dei pilastri della sua campagna elettorale, un presidente sconfitto alle elezioni di quello stesso anno con la metà dei voti al primo turno e un terzo al secondo rispetto al partito vincitore, Servitore del Popolo: lo stesso nome della serie televisiva in cui un professore di storia decide di candidarsi sfidando gli oligarchi del Paese, guidato proprio da quell’attore, Volodymyr Zelens’kyj, di origine ebraica e madrelingua russa. Piuttosto, l’Ucraina è stata spinta a riaffermare la propria identità culturale proprio dalle due aggressioni russe, quella del 2014 e quella del 2022.
Suvvia.
5. La sentenza parte III: 17 luglio 2014, volo MH17, 298 morti
Giusto, c’è un’altra cosa della quale ci informa Cucurnia. Al minuto 10:26 ci dice che
la Corte Internazionale […] ha respinto le accuse dell’Ucraina [alla Russia] sull’abbattimento dell’aereo malesiano
e siccome tale formulazione non è parsa a Lilin abbastanza faziosa, ha deciso di rincarare la dose:
Quando è stato abbattuto l’aereo malesiano […] i filorussi del Donbass che all’epoca in quegli anni erano miliziani armati in maniera anche abbastanza approssimativa, non erano in grado di abbattere un aereo di linea […] i miliziani del Donbass sono quelli che ancora ieri lavoravano nelle miniere, sono minatori, non sarebbero in grado di usare i sistemi di… antiaerei.
Tradotto: quelli dell’Euromaidan erano tutti nazisti al soldo dell’Occidente, quelli del Donbass invece erano minatori in lotta per la libertà. E ci ha pure scritto un libro.
Questi “minatori”, “miliziani armati in maniera approssimativa”, sono riusciti a respingere l’attacco dell’esercito ucraino portando avanti la controffensiva di agosto e il problema è proprio questo: i mezzi, le conoscenze e le capacità militari li avevano tutti a disposizione. La vicenda del volo MH17 è stata ricostruita da tempo e un tribunale olandese ha emesso una sentenza nel novembre 2022 condannando all’ergastolo due cittadini russi e un ucraino secessionista.
Scorrendo la sentenza a pagina 41, paragrafo 74, si può leggere:
While the Court will only examine allegations of offences of terrorism financing to the extent necessary to resolve the claims of Ukraine, its interpretation and analysis of the Parties’ obligations under Articles 8, 9, 10, 12 and 18 of the ICSFT will be guided by its interpretation of Articles 1 and 2 of that Convention, in particular, its interpretation of the term “funds” as defined in Article 1 (see paragraph 53 above). Consequently, it is not necessary for the Court to evaluate alleged predicate acts the commission of which is sustained solely by the supply of weapons or other means used to commit such acts.
Mentre la Corte esaminerà esclusivamente le accuse di finanziamento al terrorismo nella misura in cui siano necessarie a rispondere alle accuse avanzate dell’Ucraina, la sua interpretazione e analisi degli obblighi delle Parti relativi agli Articoli 8, 9, 10, 12 e 18 dell’ICSFT sarà guidato dall’interpretazione degli Articoli 1 e 2 di detta Convenzione, in particolare, dalla sua interpretazione del termine “fondi” come definito all’Articolo 1 (vedi il paragrafo 53). Conseguentemente, non è necessario per la Corte valutare le presunte azioni la cui messa in atto è sostenuta esclusivamente dalla fornitura di armi o altri mezzi usati per commettere tali azioni.
Una traduzione efficace di quanto detto ce la fornisce Reuters:
The court declined to rule on the downing of MH17, saying violations of funding terrorism only applied to monetary and financial support, not to supplying weapons or training as alleged by Ukraine.La Corte non si è pronunciata sull’abbattimento del volo MH17, affermando che le violazioni relative al finanziamento al terrorismo si applicano solamente al supporto monetario e finanziario, non alla fornitura di armi o all’addestramento come sostenuto dall’Ucraina.
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