Il paradosso Rangeloni – Parte 2: narrazioni contrapposte

Approfondiamo l'indipendenza dei reporter indipendenti

Buongiorno,

l’articolo sul paradosso di Rangeloni mi ha incuriosito, così mi sono iscritto al suo canale Telegram.
Sono molto confuso: seguendo i messaggi e i commenti degli iscritti, tutto sembra perfettamente credibile e ragionevole. Un popolo oppresso dai nazisti che aspetta la liberazione da parte di Putin.
Adesso mi serve una bussola.

Per quanto possiamo negarlo, siamo tutti nati e cresciuti già inseriti in un mondo di narrazioni, ovvero di “modi di interpretare” la realtà. Non è vero che contano solo “i fatti”. Contano quando riusciamo a raccontarli, a metterli insieme in una narrazione. Il nostro cervello purtroppo o per fortuna funziona così: è legato al linguaggio.

Quando ci imbattiamo in una narrazione che non riusciamo ad affiancare all’altra, ovvero a narrazioni opposte e incompatibili, siamo in difficoltà.

Dopo due anni di pandemia, proiettati in un’esperienza completamente inedita a livello di comunicazione globale, ci siamo accorti di quale sia il rischio sociale dello scontro tra opposte narrazioni. Ecco, a proposito, una storia più recente che potrebbe darvi dei deja-vu:

La notte del 24 febbraio Kristina, una donna di 31 anni che vive a Kiev, svegliata dal suono delle bombe e delle sirene riceve una telefonata da una parente di Mosca. In lacrime, le dice: “ci stanno bombardando”. La cugina, che si informa sulla tv di stato russa, le risponde: “Tieni duro cara, i russi stanno arrivando a salvarvi da quei nazisti che vi bombardano”.

Questa è solo una delle storie surreali e tragiche del podcast di Marianna Spring su BBC che si chiama War On Truth. Episodi come questo, intitolato “mia cugina pensa che ci stiamo bombardando da soli”, raccontano di famiglie a pezzi, che non si parlano più perché ormai non hanno nemmeno delle premesse in comune per farlo (narrazioni contrapposte, incompatibili): dialogo impossibile.

I “reporter indipendenti”: quanto sono “reporter”, e quanto sono “indipendenti”

Che per i “reporter autoproclamatisi indipendenti del Donbass” la guerra in Ucraina sia effettivamente quella cosa di cui parlano e che ci mostrano sembra piuttosto “credibile e ragionevole”, come dice il lettore.

Sono lì, vedono le cose con i loro occhi da anni. Dobbiamo però considerare anche “come raccontano a sé stessi” quello che vedono, “come si raccontano” il loro essere lì e “come si raccontano” perfino il nostro essere qui (è fondamentale capire come vedono il mondo occidentale – da cui provengono – e cosa rappresenta per loro).

Partiamo da quest’ultima questione: il nostro essere qui. Racconta Rangeloni:

(…) i cittadini delle due repubbliche combattono per impedire che passi questa operazione politica, combattono per rimanere liberi dall’imposizione di un messaggio che invece nel nostro caso (parlo dell’Italia) ci ha già assoggettato e resi schiavi. La mia operazione di riportare i fatti che avvengono qui, ha il duplice scopo di una operazione di verità e tramite essa di risveglio delle coscienze degli italiani, per renderli consapevoli della condizione di schiavitù morale e politica in cui si trova il paese.

Passiamo alla seconda questione: le motivazioni per andare in Donbass a fare il “reporter indipendente”.

Non c’è spazio per raccontare tutto il background che traspare dalle interviste a Rangeloni, ma una cosa è chiara: la sua idea di Ucraina – la narrazione romantica di un mondo valoriale ben definito e univocamente opposto al nostro – a un certo punto non ha più combaciato con i nuovi sviluppi:

Visitando l’Ucraina verso la fine dell’ottobre 2013, fui subito colpito da una tendenza: all’improvviso, tante persone, specialmente tra i giovani, iniziarono a girare adornati da nastrini per metà coi colori nazionali gialloblù, e per metà riportanti la bandiera blu-stellata dell’Unione Europea. (…)

…e questa nuova narrazione (come possono amare l’Europa se io la odio?), ha dovuto prendere una piega diversa:

In realtà era l’inizio di un subdolo processo di manipolazione prefabbricato dalle solite ONG, tra cui quelle di Soros o quelle patrocinate direttamente dall’ambasciata degli States, che a pochi mesi avrebbe portato ai fatti noti a tutti della rivoluzione di Maidan.

Propaganda e giornalismo

Vale forse la pena di provare a tracciare delle differenze tra un inviato di una grande testata giornalistica (i piccoli giornali non se li possono permettere, troppe spese) e quello che è invece un propagandista.

La prima differenza è una questione di qualità: in un reportage serio sui molteplici aspetti di una guerra raccapricciante e insensata come questa, vi imbattete in una marea di dettagli, punti di vista, evoluzioni che sono assolutamente imprevedibili e inaspettati per noi che siamo qui. La realtà è molto più complessa della finzione, più tridimensionale.

Il soldato russo – raccontato da giornalisti occidentali circondati da cadaveri orribilmente sfigurati – è sempre raccontato come un essere umano, con motivazioni umane (può essere sfinito dall’andamento delle cose, può perfino essere buono con i civili, anche questo capita, può diventare un ladro perché viene da un Paese estremamente povero, può essere uno schizzato, un sociopatico torturatore oppure un ragazzetto che non vede l’ora di essere ferito per tornare a casa).

Al contrario, la propaganda di guerra racconta sempre le cose esattamente come te le aspetti, perché è piatta. Il nemico è sempre identico a se stesso, senza faccia, è tutto Azov là fuori, è tutto monolitico.

Per definizione la propaganda è sempre uguale a se stessa perché è obbligata a esserlo (se ti fai troppe domande, in genere non spari).

“Spara Jurij spara” (G.L.Ferretti – Ortodossia)

La seconda grossa differenza tra informazione e propaganda è una questione di finalità.

Che Rangeloni sia un “reporter” assolutamente sui generis lo evidenzia il doppio ruolo che ricopre. Oltre che “risvegliare le coscienze degli italiani” con i suoi servizi, infatti, lavora anche al “sistema di sicurezza delle informazioni”.

Gli “Egorova Leaks”

Il 3 agosto 2016 il profilo Twitter di Tatiana Egorova, funzionaria del Ministero dell’informazione della DNR, viene hackerato e vengono pubblicate migliaia di email e di file allegati che coprono il periodo 2015-2016. Uno degli aspetti di cui scrivono diverse fonti (Die Zeit, Informnapalm) che hanno avuto accesso agli “Egorova leaks” è un sistema finalizzato a filtrare le informazioni concordando il lasciapassare per DNR e LVR solo ai giornalisti “amici”.

Inizialmente con sede a Mosca, l’agenzia DONi di Putkonen (di cui avevamo già parlato) si occupa di stilare per la Egorova queste liste di giornalisti. Putkonen in una mail rivendica l’importanza del lavoro svolto e chiede soldi per proseguire in questa attività. Nelle liste, i nomi segnalati in rosso sono i giornalisti da rimbalzare, quelli gialli da valutare anche se rischiosi (quindi da tenere sotto stretta osservazione) quelli verdi sono i “real friends”, ovvero tutti gli entusiasti sostenitori di Putin e praticamente gli esponenti di estrema destra di mezzo mondo. I giornalisti italiani sono tutti segnati in giallo, tranne un unico “amico”: Maurizio Vezzosi (non so se possa considerarsi un complimento o meno).

“Russofobi, lavorano chiaramente per le forze armate ucraine, rimuoveteli urgentemente da Donetsk”.
“Lavora per le forze armate dell’Ucraina e dell’ATO, allontanare urgentemente da Donetsk”.
“Lavora per i media ucraini”.
Di fronte al nome del corrispondente dell’Associated Press, un commento leggermente più dettagliato: “Propagandista della NATO. Molto competente. La Reuters e l’AP sono i principali nemici ideologici della Russia nella guerra dell’informazione”.

Rangeloni si occupa anche di questo lavoro. Comparso sulla scena giusto l’anno prima, insieme a pochi altri italiani (i primi) arrivati per combattere, è arrivato a maggio 2015 per “combattere senza armi” e in un paio di mesi ha iniziato a pubblicare una ventina di video per LNR.today (il canale di Lugansk). Un mese dopo ha iniziato a lavorare anche per DONi news, l’agenzia di Jannus Putkonen con la quale lavorerà ancora per anni (scriverà anche per Sputnik News Italia entro breve). Se sei un giornalista che arriva in DNR in quegli anni, il fixer ti porta in giro, ti fa parlare con questo, ti mostra quello e come è ovvio ti tiene lontano da altro.

False flag?

Nel servizio di France24 di Elena Volochine (interessante da rivedere oggi), compare un addetto stampa di DONi che somiglia tantissimo a Rangeloni e svolge questo preciso ruolo.

Speaker: “La DNR ha la sua agenzia stampa: DONi, i cui reporter non hanno paura di organizzare qualche piccola messinscena ogni tanto. Abbiamo intercettato questa conversazione tra il giornalista di DONi e il comandante della DNR”.
Comandante: “Allora, cosa dobbiamo fare?”
Giornalista DONi: “Devi mostrarci come gli ucraini stiano violando il cessate il fuoco”.
Comandante: “Ok. Vesto i miei con uniformi ucraine, nessuno lo saprà!”
Giornalista DONi: “Ho suggerito la stessa cosa ai capi, ci stanno pensando”.

Tendo a interpretare le parole del comandante più come un classico esempio di umorismo russo che come la pianificazione concreta di una false flag. Le violazioni del cessate il fuoco (da entrambe le parti) sono state in ogni caso ampiamente documentate dai resoconti giornalieri OSCE, come dai report di Amnesty, insieme a serissime violazioni dei diritti umani, incarcerazioni arbitrarie, sparizioni ed episodi di tortura.

Resta il fatto che c’è una precisa narrazione che deve passare (“devi mostrarci), e forse può aiutarci un pochino di contesto.

La parola dell’anno 2016 è: post-truth

Restiamo sempre nel 2015-2016 perché è un momento cruciale, se pensiamo anche solo al ruolo che il “virtuale” ha avuto negli sviluppi “reali” nel mondo (è l’anno d’oro dei troll russi, della campagna elettorale di Trump, del Pizzagate, di Brexit, di Cambridge Analytica e delle “Dark Arts”: un anno di avanguardie).

Per ovvi motivi le Repubbliche hanno un bisogno di narrazioni che è forse anche maggiore del bisogno di risorse e armi. Un propagandista motivato e intenzionato a “combattere senza armi”, capace di parlare russo ed esprimersi in modo corretto in italiano (merce rara) è molto prezioso, infatti passerà poco prima di vedere Rangeloni premiato dal “presidente” Zakharchenko e invitato a eventi ufficiali. La narrazione che deve passare ha lo scopo principale di trovare “amici” in Europa e nel mondo. Le Repubbliche sono infatti in cerca di legittimazione e devono contrastare la narrazione opposta (quella di Kyiv) che li racconta come terroristi. Scopi secondari: reclutare altra gente, convincere pezzi di opinione pubblica interna ed esterna, fare arrivare soldi, investimenti, indebolire il nemico e screditarlo in tutti i modi possibili. Servono giornalisti “da fuori” disposti a narrare “nel modo giusto” e vanno evitati quelli un po’ troppo svegli e/o competenti che potrebbero farlo nel modo “sbagliato” (gli inviati “molto competenti”, come quello di Associated Press, è meglio che non ottengano un lasciapassare).

“…tovarishch vuol dire “camerata”. Tutti pensano che vuol dire “compagno” ma non è vero.” (il miliziano Spartaco, 2015)

Narrazioni e artiglieria in Donbass

Il Donbass di questi anni sembra qualcosa di simile a una faglia tettonica ideologica, si può visualizzare come un incendio sotterraneo che si alimenta in un invisibile, ma inesorabile, lento crescendo. È un contesto in cui la diffidenza reciproca, la violenza, la paura, la povertà, la corruzione, l’insicurezza e l’ingiustizia sociale costituiscono un mix perfetto per una escalation di inasprimento di “narrazioni contrapposte”, le quali sono sia causa che effetto di tutto il resto, in un continuo rimbalzare nel flipper dei proiettili reali e informativi tra le trincee. Allo stesso modo per cui il combattente Spartaco vive la narrazione in cui è “venuto per aiutare”, per difendere la povera gente, per difendere i “valori in cui crede”, disposto a dare la sua vita, noi possiamo invece vedere il tutto in un film completamente diverso, quello di un professionista straniero (ex-Folgore) che arriva e ammazza giovani soldati di leva ucraini, facendo sì che domani ci saranno ancora più soldati (e madri in lacrime) dall’altro lato, e altri ancora più cattivi e preparati, e altri ancora da questo lato (e altre madri) e così per sempre… Anche dal punto di vista delle narrazioni la posta si alza sempre di più. Entrambe le cose sono piuttosto evidenti anche solo analizzando i video di Rangeloni dei primi anni.

“Inoltre lì non ci sono più i ragazzetti che c’erano l’anno scorso, ma veri professionisti” (un miliziano intervistato da Rangeloni nel luglio 2015).

C’è un video in cui due donne-soldato, nel giro di pochi minuti, passano schizofrenicamente dal dire qualcosa come: “Madri di Kiev: non mandate i vostri figli in guerra, ci tocca ucciderli e rimandarvi i cadaveri, siamo madri anche noi” (propaganda) a una riflessione imprevista, una scheggia impazzita di amarissima realtà: “Eppure fino a mesi fa ci vedevamo per le vacanze con i nostri parenti a Kiev, ora non ci parliamo più”.

Spartaco, come Rangeloni e la maggior parte delle persone calate in questo scenario folle, giorno dopo giorno – consapevoli o meno – stanno soffiando su quel fuoco sotterraneo, mentre si raccontano di lavorare per la pace, tutti.

A soffiare c’è anche la Russia: gli armamenti diventano sempre più grossi, la propaganda sempre più spinta, sul finire dello stesso anno abbiamo questo spot di propaganda, un sacco di armi nuovissime e una narrazione meno improvvisata, più sofisticata, più coordinata: abbiamo il documento da Mosca.

La strategia di comunicazione russa

Die Zeit mette in luce (e traduce in tedesco) un documento dell’agosto 2015, stilato da professionisti della persuasione russi, che agiscono come supervisori per aiutare i separatisti nella gestione di una politica informativa. Il testo di quaranta pagine profila una strategia di comunicazione precisissima.

Ne devo fare un riassunto in una decina di punti salienti, per ovvi motivi di spazio.

1. Tutti devono raccontare la stessa storia, una narrazione garantita da un centro media che detti le notizie, il modo in cui vengono date, le regole da seguire per tutti e cosa evitare assolutamente di dire.
2. Seguire i principi generali del controllo dell’opinione pubblica che vengono già attuati nella Federazione Russa.
3. Presentare l’Ucraina facendo paralleli con regimi di estrema destra, dittature fasciste e fantoccio controllate dagli USA.
4. Pubblicare interviste di sostenitori e partecipanti di Maidan delusi dal risultato della loro rivoluzione.
5. Visto che c’è tensione e insoddisfazione nelle Repubbliche, mostrare che in Ucraina si sta ancora peggio.
6. Mostrare la Russia come alleato affidabile. Le Repubbliche hanno fatto la scelta giusta nel decidere di appoggiarsi alla Russia.
7. La Russia porta aiuti umanitari. In molti lamentano che ci siano furti? Mostrare le persone a cui gli aiuti sono effettivamente arrivati.
8. La Russia è in pericolo, ma nonostante questo sta combattendo per voi, per il Donbass, e non vi abbandonerà.
9. Le Repubbliche fanno parte ormai del grande mondo russo, l’affiliazione deve essere mostrata con tutti i mezzi.
10. L’Ucraina viola deliberatamente gli accordi di Minsk. Tutti i rapporti devono contenere questa tesi. DNR, LVR e Federazione Russa sono favorevoli agli accordi, Kyiv è invece contraria.

Il documento illustra inoltre come sia necessario formare gruppi di commentatori internet sfruttando i giovani attivisti, che commentino le notizie con una intensità tale da dare l’impressione che “la maggioranza la pensa così”. Condurre contro-propaganda, creare blog… (qui aggiungo io) magari anche canali Telegram. Ecco come agire:

• Foto dal fronte, foto dalla vita quotidiana della milizia popolare.
• Volti di persone, membri della milizia popolare, prigionieri di guerra, gente comune.
• Foto che illustrano la vita urbana quotidiana nella LVR. È importante mostrare che le persone non si disperano e che “la vita continua”.
• I più importanti sono i contributi testuali con informazioni sulla situazione militare. Questi sono i “contenuti unici” che trasformano un blog in una finestra sul mondo di LVR per gli utenti Internet stranieri. (…) I commenti dell’autore spiegheranno cosa si può leggere “tra le righe” e “come stanno davvero le cose”. Fonti di informazione per questo sono (ad esempio) “combattenti della milizia popolare che conosco personalmente”, “un ragazzo che lavora nell’amministrazione della repubblica”, “medici che sono in prima linea”, “tutti a Lugansk lo sanno …”, ecc. .
• (…) Anche se l’autore prende chiaramente una posizione a favore della LVR, questi testi devono essere scritti con umorismo e un tocco di ironia, storie di “interesse umano” dal punto di vista di un narratore pacifico e ben intenzionato, di buon senso.
• A volte, ma non troppo spesso, dovrebbero esserci anche testi sulle atrocità commesse dalla parte ucraina, sul danno che l’Ucraina ha fatto al Donbass. Tuttavia, queste devono essere sempre storie concrete, accompagnate idealmente da foto, in modo che l’indignazione dell’autore abbia una ragione concreta. Poi si possono aggiungere alcune frasi generali sugli “assassini che hanno iniziato questa guerra”, ma senza radicalismo, opuscoli e appelli.

Credibile e ragionevole, avevamo detto così, vero?

Questa è la “scuola di giornalismo” e questo il contesto in cui Rangeloni e molti come lui diventano “reporter indipendenti” in Donbass. Cosa c’è o ci può essere di indipendente in un ambiente di questo tipo, lo spiega a Die Zeit un giornalista di nome Dimitri R., che ha lavorato come propagandista nell’Ucraina orientale:

Questo non è il momento del giornalismo. Il giornalismo è qualcosa per la pace. Per la guerra, che è anche una guerra dell’informazione, abbiamo bisogno di soldati dell’informazione. Ci consideravamo davvero soldati dell’informazione. E questo ha fatto sembrare il nostro lavoro molto speciale.

anDREAM

Questo articolo è il secondo di una serie che approfondisce le figure dei “reporter indipendenti” in Donbass. Trovate qui la prima e qui la terza e ultima.

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